Il sacro ed il profano. In questo lavoro è mia intenzione provare a stabilire una relazione tra un’Orisha, cioè una creatura Yoruba di origine divina ed una più profana divinità, anch’essa con i suoi riti, i suoi simboli, ma altresì con i suoi pregiudizi e banalità: il collezionismo.
La prima domanda che scaturisce è cosa intrattenga la cultura Yoruba della Nigeria con il collezionismo d’arte africana, se non il fatto che l’arte Yoruba è ovviamente un argomento di collezione.
Nel pantheon del popolo Yoruba, che occupa la parte sud-occidentale della Nigeria moderna e la parte meridionale del Benin, sono oltre quattrocento le divinità deputate a mediare il rapporto con l’aldilà, a regolare le cerimonie, le festività, i riti, gli eventi della vita quotidiana.
Tra le divinità, Oshun (anche scritto Osun), era considerata principalmente come la dea dell’amore, ma interpretava tuttavia anche un altro ruolo, vale a dire quello di custode ed elargitrice del dono della fertilità femminile, della protezione dei bambini ed anche delle acque. Il culto di questa divinità fluviale era diffuso praticamente nell’intero Yorubaland, ma era centrato soprattutto nella regione nord-occidentale di Oshogbo. Qui, in particolare, si celebravano le feste ed i riti dedicati a questa divinità femminile e, come scrive Babatunde Lawal, durante l’invocazione per la protezione dei bambini, scettri ed ornamenti, soprattutto ventagli e bastoni rituali, ornavano il suo altare (Yoruba, 2012, Milano).
Fan (ventaglio rituale), Yoruba, Courtesy Yale University Archive of African Art
In particolare, l’utilizzo del ventaglio rituale è stato descritto fin dalla fine del XIX secolo in varie pubblicazioni europee.
Nel testo di Webster, W.D. “Illustrated Catalogue of Ethnological Specimens. European and Eastern Arms and Armour. Prehistoric and Other Curiosities”, Vol. 3, No. 21., 1899 appare l’immagine di un ventaglio di cuoio.
Courtesy James J. Ross Archive of African Images 1590 -1920, n.5472 immagini, n.4133, fan
Ugualmente nel libro di Pitt Rivers Augustus. “Antique Works of Art from Benin Collected By Lieutenant-General Pitt Rivers”, D.C.L., F.R.S., F.S.A. Inspector of Ancient Monuments in Great Britain, &c. 1900, sono due i ventagli pubblicati, uno in metallo e l’altro in cuoio.
Courtesy James J. Ross Archive of African Images 1590 – 1920, n.2116.42
E per finire, un altro ventaglio rituale di cuoio verde con applicazione di frange di tessuto rosso è descritto nel testo di Roth, Henry Ling. Great Benin: Its Customs, Art and Horrors, 1903.
I Jekri, a cui si riferisce il testo relativo all’immagine, erano un’ etnia stanziata nella Nigeria meridionale, lungo il bacino inferiore del fiume Benin, di lingua affine a quello yoruba.
Courtesy James J. Ross Archive of African Images 1590 – 1920, n 28096
Questo a dimostrazione di quanto sia stato radicato il culto di Oshun, con i suoi riti, ed il corredo rituale ad esso legato.
Ma tornando all’enunciazione iniziale, che riguarda l’altra divinità profana, quella del collezionismo, io mi chiedo quanti si siano mai interessati ad oggetti rituali legati al rito di questo Orisha, mentre statuette, coppe, maschere ecc., afferenti ai culti Shango, Eshu, Ibeji, Ogboni, Egungun, sono in centinaia di collezioni di tutto il mondo.
Oggetti a volte magnifici , alcuni perfino dei capolavori; ma la qualità artistica, la rarità, la bellezza estetica non si celano soltanto nelle opere destinate ai riti più conosciuti!
A mio parere il collezionista dotato di volontà e dedizione e sorretto da studio ed approfondimento, dovrebbe dedicarsi anche alla ricerca di oggetti di culto afferenti a popoli meno conosciuti e famosi, ma certamente non inferiori di fascino e bellezza.
Eccoli i pregiudizi e le banalità: credere che l’arte del continente africano si esprima soltanto tra le etnie più celebrate, i Dogon, i Senufo, i Bamana, i Baule, i Fang, i Kota, i Luba, i Songye, i Chokwe, per dire i primi che mi vengono in mente, e soltanto nel loro corredo rituale maggiormente appetibile dal mercato. Come se non ci fossero storia e simbologia di ampio risalto anche nei riti meno conosciuti!
Tutto questo per parlare di un mio personale convincimento, che trova però applicazione nei fatti.
Il ventaglio Yoruba, del culto di Oshun sotto illustrato, è la dimostrazione reale di quel che ho affermato. Questo oggetto di metallo, rame ed ottone, con la parte finale dell’impugnatura in legno, misura 55 cm in altezza ed il disco ha un diametro di 37 cm.
Ornato da tre frange di ottone, un numero affatto casuale, fissate con antichi rivetti di metallo, come nel caso di quelli delle immagini precedenti, si giova di un decoro geometrico su tutta la superficie, quasi a disegnare un’ immaginaria geografia dell’anima.
Reale, invece, è il fascino che promana e la qualità estetica visibile da chiunque, pure se digiuno di conoscenze africaniste.
La dea Oshun vive tra le mie pareti domestiche ed, in virtù della cura della ricerca e dell’apprezzamento rivolto al fan a lei dedicato, sono certo saprà vegliare col suo benefico influsso sulla casa e su tutti i suoi abitanti e visitatori.
Questo ventaglio è stato esposto alla mostra “10 Jare, Gesellschaft der Förderer des OÖ (Oberösterreichisches) Landesmuseum, 1987/1997”, nel 1997 al Museo di Linz, in Austria e pubblicato nel libro, a cura di Stefan Eisenhofer, “Kulte, Künstler, Könige in Afrika – Tradition und Moderne in Südnigeria”, Katalog des oberösterr, Landesmuseums, pag.297, fig. III/11.18,1997.
Elio Revera