La vitalità. Un passo indietro, prima di continuare.
Pende people. Fotografía de Eliot Elisofon
Questa indagine muove dall’intenzione di delineare lo statuto autonomo dell’atto iconico tribale così come ho già avuto modo di illustrare. (https://artidellemaninere.com/2017/05/02/visions-make-beauty-limmagine/).
Nel corso di quella presentazione sono emerse le tre caratteristiche, a mio avviso, che connotano tale processo e cioè l’evento, già oggetto di approfondimento, la vitalità e la permanenza delle immagini della tradizione tribale. (https://artidellemaninere.com/2017/05/18/visions-make-beauty-leventoimmagine/)
Ora è possibile ritornare al nostro incipit, suggerendo al paziente lettore di approfondire prima i due precedenti lavori che ho citato.
Dogon people
Cosa intendo per vitalità delle immagini della tradizione tribale?
In uno dei più riconosciuti dizionari della lingua italiana, il Treccani, per vitalità s. f. [dal lat. vitalĭtas -atis], si intende – 1. a. La condizione, la caratteristica di essere vitale, capace cioè di vivere e sopravvivere b. Forza vitale, dinamicità, elevata efficienza e operosità c. fig. La capacità, la caratteristica di mantenersi efficiente e operante: la v. di una istituzione, di un sodalizio, di un’idea. 2. Nell’ultima fase della speculazione filosofica di B. Croce, il termine è usato come sinonimo di vita o corporeità, nella sua dinamica di piacere e dolore, radice e materia della dialettica spirituale.
Ed infatti, l’energia che promana dalle immagini tribali, un’energia espressiva legata alle forme, un’energia dinamica legata al movimento, una meta-energia insita nella novità delle rappresentazioni, talmente potenti al punto di trasformare la percezione dell’arte occidentale, quando questa ebbe ad incontrarla, costituiscono il tratto tra i più peculiari del mondo tribale.
Basterebbe riflettere sull’influenza che le immagini tribali hanno esercitato sulle menti più sensibili della cultura occidentale per decretarne la vitalità e di conseguenza, la sua fondamentale importanza nella definizione dello statuto iconico autonomo.
Ma questa è storia, sebbene ancora qualcuno stenti a riconoscere i meriti di quell’arte a torto definita “primitiva”, invece di “primigenia” come forse si dovrebbe.
Detto questo, altre sono però le caratteristiche che definiscono il tema della vitalità dell’immagine.
A mio modo di vedere, la vitalità dell’immagine primitiva si configura nello scarto tra rappresentazione e simbolizzazione, vale a dire, l’immagine che vediamo non è mai ciò che descrive, bensì quello a cui rimanda sul piano simbolico.
L’immagine della maschera che danza, infatti, non è la rappresentazione di sé stessa, bensì del mistero in cui è immersa, nell’imperituro dialogo con le forze dell’invisibile.
1904. Musée du Congo. Il Fetisher, il Ganga o Moganga
In questo iato spazio/ temporale colgo quell’elemento di vitalità trascendente che, pur lontano dalla lezione di Benedetto Croce, costituisce pur sempre la radice e la materia della dialettica spirituale, come la definisce il filosofo.
Un altro elemento di immanenza vitale è la capacità delle immagini tribali di porci continuamente delle domande, di interrogarci, di lasciarci inquieti e dubbiosi.
La sospensione della certezza, non è, a mio parere, soltanto un fattore perturbante; indubbiamente è anche questo, soprattutto per quanti si accontentano della quieta rassicurazione culturale.
Ben più potente e creativa, è però la forza che ci interroga e ci pone fondamentali quesiti circa le motivazioni ed il significato di quel che ci è dato vedere attraverso le immagini; mera rappresentazione di un accadimento folkloristico, esotico, ovvero testimonianza di un evento ieratico, simbolico e creativo?
Questa capacità di coinvolgerci è la radice di quel mutamento psichico, percettivo e culturale a cui si riferiva Horst Bredekamp quando delineava gli elementi che consentono all’immagine di balzare, da uno situazione di passiva inerzia ad una di potenziale trasformazione del pensiero.
Ed infatti questo è accaduto nella storia dello studio delle culture primitive se da elemento di marginale insignificanza sono divenute ambito di approfondimento critico e catalizzatrici di nuovi approcci e significati.
Igbo Masquerade, Nigeria
Non è forse anche in virtù della definizione di uno statuto autonomo delle immagini tribali che la moderna Antropologia, quella di Eduardo Viveiros de Castro, di Clifford, di Geertz, di Augé e di altri, tenta di affrontare e risolvere il debito concettuale nei confronti dei popoli che sono stati oggetto del suo interesse di studio, per realizzare una vera e propria “decolonizzazione” permanente del pensiero?
Io credo proprio di sì e sono consapevole che un approccio orientato alla definizione di un autonomo statuto iconico tribale sia un valido strumento in questo percorso che inevitabilmente necessita di lasciarsi alle spalle l’antropologia strutturale classica, specie dopo la lezione di Deleuze, per restituire al sapere “primitivo” il posto a lungo negatogli nell’orizzonte della conoscenza.
Bakuba Dancer. Belgian Congo. ca. 1959. Photograph by H. Philips
Un’altra caratteristica peculiare del carattere vitalistico dell’immagine tribale, a prima vista può apparire forzata o bizzarra, ma non non lo è affatto.
Mi riferisco alla forza in sè delle immagini ed alla loro possibilità di sostituzione della scrittura.
In effetti, le immagini sono e rappresentano se non una lingua scritta, un linguaggio iconico di gran lunga più potente e connotativo dell’alfabeto.
Come si vedrà nel prossimo lavoro dedicato alla Permanenza , ogni etnia ha sviluppato autonomamente alcune caratteristiche morfologiche ed estetiche che connotano in modo riconoscibile quel popolo.
Le immagini tribali delle maschere, dei feticci, degli oggetti rituali ed anche di quelli d’uso, rimandano pertanto ad un immaginario alfabeto simbolico, proprio di un determinato popolo e restituiscono la suggestione di una presenza nel tempo e nello spazio.
Sono forti in sè e non mi riferisco alla bellezza estetica a cui non ho mai fatto riferimento: la loro forza consiste nella capacità di restituzione di un mondo primigenio nel quale ogni momento della vita quotidiana era scandito dalla consapevolezza dell’importanza di un’appartenenza sociale al villaggio d’origine, al suo sviluppo, al suo benessere e, nello stesso tempo, dalla immanente certezza della dipendenza dalle forze del mondo invisibile.
Proprio dalla necessità di un fecondo rapporto col mondo invisibile, dal quale dipendeva in grande misura la sopravvivenza individuale e sociale, sono scaturite, a mio avviso, quelle energie creative che hanno forgiato l’immaginario primitivo di una rara e vivida potenza espressiva.
Elio Revera
Maîtres Danseurs Batshioko, durant les cérémonies d’initiation. Territoire de Sandao, Province Du Katanga, Congo . ca 1931. Vintage press photo by E. Steppé
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