Visions make Beauty: la permanenza

 

In questo quarto e conclusivo capitolo delle Visions la mia attenzione è rivolta ad una delle caratteristiche peculiari che connotano lo statuto autonomo dell’atto iconico tribale. (https://artidellemaninere.com/2017/05/02/visions-make-beauty-limmagine/).

Ho già individuato nell’immagine/evento (https://artidellemaninere.com/2017/05/18/visions-make-beauty-leventoimmagine/) e nella vitalità (https://artidellemaninere.com/2017/06/23/visions-make-beauty-la-vitalita/), due fondamentali aspetti, a mio parere, di tale statuto.

La permanenza, è la terza caratteristica che connota questo processo.

Sia chiaro, innumerevoli sono gli aspetti che si potrebbero indagare, ma a mio avviso, l’evento, la vitalità e la permanenza  costituiscono i fattori riassuntivi dello statuto iconico tribale, quelli cioè  “che consentono all’immagine di balzare, mediante una fruizione visiva o tattile, da uno stato di latenza all’efficacia esteriore nell’ambito della percezione, del pensiero e del comportamento”, per dirla con H. Bredekamp.

 

© MAÎTRE DE CÉRÉMONIE DU PEUPLE EKONA, ISANGI, BIKORO.

© MAÎTRE DE CÉRÉMONIE DU PEUPLE EKONDA, ISANGI, BIKORO. CONGO

 

La permanenza, vale a dire la capacità di attraversare tempo e luoghi mantenendo le caratteristiche originarie, non è una prerogativa tribale.

Quel che è peculiare nella cultura “primitiva” e specificatamente nelle immagini ad essa inerenti, è l’assoluta, integra fedeltà al modello originariamente concepito nell’ambito di ogni specifica etnia e tramandato attraverso la realizzazione di stilemi e canoni compositivi immediatamente distinguibili gli uni dagli altri, sia pure in presenza di inevitabili contaminazioni culturali tra popolazioni viciniori.

 

© Pitt Rivers Museum, University of Oxford Akpambe Juju circa 1907

© Pitt Rivers Museum, University of Oxford Akpambe Juju, circa 1907

 

Guardando le immagini  della produzione artistica Dogon (Mali), Baoulé (Costa d’Avorio) o Luba (Congo), per citare tre culture ampiamente conosciute, nessuna possibile confusione attributiva è possibile: la permanenza delle caratteristiche peculiari è totale in ogni manufatto, che si tratti di statue, maschere, oggetti di potere o d’uso quotidiano.

Si potrebbe affermare che ciò è il risultato di culture chiuse, impermeabili ad ogni influenza, culture che si riassumono in sé medesime…ma tutto questo non spiega la forza di tale permanenza espressiva che, a mio parere, non va cercata in fattori materiali o geografici.

Per quanto concentrate in specifici territori, queste culture, però,  non erano affatto “chiuse”!

In taluni casi, erano perfino fabbri di differente etnia, evidentemente più abili, i realizzatori delle opere di culto e di norma  gli scambi commerciali erano diffusi ed ordinari; ma nulla ha scalfito la permanenza dell’antico stilema originario, sebbene, come è ovvio, l’evoluzione all’interno di esso sia stata continua, in virtù della maestria di artisti  ancora purtroppo sconosciuti.

 

Igala ritual mask 'Egwu Agba.' Taken from the book ARTS DU NIGERIA, Reunion des musée nationaux Paris 1997. Photograph by J.Boston

Tutto questo fino all’incontro con la cultura occidentale ed al suo carico predatorio, manipolativo ed impositivo.

Ma fin quando queste culture han vissuto nell’ambito della propria indipendenza, quale fattore immateriale è all’origine di una permanenza tanto pervicace e radicata? Quale forza ha determinato un esito così potente tale da attraversare un tempo secolare, in uno spazio vasto interi continenti?

In altre parole, ritornando allo specifico del nostro tema, quale energia soggiace ad un fenomeno tanto radicale da imprimere alla visione delle immagini quella potenza iconica che inquieta prima di incuriosire, che attrae prima di spaventare, che attanaglia prima di comprendere?

Non certo l’esotismo vacuo ed inerme  di facciata e tantomeno le narrazioni stantie di viaggi in terre lontane e misteriose!

La forza che balza dalle immagini è la stessa primigenia forza che permea quelle genti, la forza sotterranea che attraversa i loro gesti, i loro riti e gli oggetti ad essi legati.

Basterebbe ricordare la ritologia Fang  (Culti So, Bokung- Elong, Ngi, ecc..), o i riti Gaza degli Nbaka del Congo ovvero il culto Hamba dei Chokwe  o quello Bitwi dei Loubo, soltanto per citarne  alcuni tra le centinaia possibili. ( https://artidellemaninere.com/2015/10/24/la-nuit-nous-avons-une-autre-vie-les-figures-loumbo-du-bwiti/).

E la forza di questa permanenza è racchiusa in  una vera e propria mistica tribale che, come un fiume, attraversa l’intera cultura di popoli e genti, dando loro identità e significato, simboli e riti.

 

Bwami and Kanyamwa

Bwami and Kanyamwa, Lega people, Congo

 

La potenza di tale mistica tribale non è in una religiosità vacua e di facciata, non si  esprime in quelle annoiate danze per i turisti e nemmeno in quell’oggettistica pseudo-artistica che abbonda sul mercato; la sua essenza impregna i contenuti profondi di culture antropologiche, per certi versi ancora misteriose e per noi inconoscibili, ma che costituisce la radice autentica ed il significato originario della  permanenza di tali culture nel tempo e nello spazio.

 

Bamana Ritual, Mali, Early 20th Cen, Photographer Unknown.

Bamana Ritual, Mali, Early 20th Cen, Photographer Unknown.

 

Immagino di sconcertare qualcuno parlando di «mistica tribale»,  ma se il significato più genuino di mistica, termine proprio del mondo cristiano e prima ancora di quello greco classico, dove peraltro la parola è nata, si compendia come l’esperienza interiore che per eccellenza coinvolge tutto l’uomo (Marco Vannini, 2013), credo che pochi abbiano ad eccepire del fatto che l’intero continente africano sub-sahariano è stato attraversato da culti e riti che non soltanto erano destinati a coinvolgere l’individuo, bensì l’intera sua comunità di appartenenza.

Il fatto che non si conoscano i nomi dei teologi e mistici dei culti tribali, a differenza dei nomi di quelli occidentali da Ildegarda di Bingen ad Ernst Troeltsch, da Meister Eckhart a Michel de Certeau… non significa affatto che non sia stata presente e permanente una specifica mistica tribale destinata alla più profonda esperienza di comunicazione con le forze invisibili regolatrici dell’intero universo.

Ed è codesta mistica tribale il fattore immateriale, a mio parere, che ha determinato da un lato,  la permanenza di un sistema estetico/espressivo che ci fa riconoscere la peculiarità di ogni popolo in relazione alle proprie creazioni e dall’altro, la potenza espressiva dell’immagine tribale col suo carico di simbolismo e perturbante inquietudine per l’osservatore occidentale.

 

1910 Swann, Alfred J. Fighting the Slave Hunters in Central Africa.

1910 Swann, Alfred J. Fighting the Slave Hunters in Central Africa.

 

Evento, vitalità e permanenza, nelle accezioni che ho provato ad illustrare, sono pertanto i tre pilastri dello statuto autonomo dell’atto iconico tribale e che fanno di esso uno specifico ambito di ricerca e di approfondimento.

Non so se con i quattro lavori delle Visions sia riuscito in questo intento, ma credo e spero  di aver delineato una innovativa e feconda modalità di visione dell’immagine tribale.

Elio Revera

 

Fang Ritual in Lambarene, Gabon. Jean d'Esme 1931.

Pubblicità

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...