Riprendo alcune riflessioni che, pur essendo di pochi anni fa, necessitano di ulteriore approfondimento, alla luce dello sviluppo ed al verificarsi di quanto avevo raccontato in un precedente lavoro, la cui lettura considero preliminare. (La forza del destino…o del quattrino?)
La domanda più spontanea ed immediata, che mi pongo oggi, riguarda il futuro del collezionismo di arte tribale, africana nello specifico.
L’approccio diffuso del collezionismo di alta gamma è legato alla qualità dei pezzi ovvero soltanto alla sua immediata fruizione estetica?
In altre parole quanto importano la storia antropologica, il significato simbolico, il valore documentale di un’opera tribale, nel momento della sua acquisizione?
L’analisi delle vendite effettuate dalle principali case d’asta, che trattano l’arte tribale, fa emergere senza dubbio alcune tendenze che soltanto da pochi anni si sono radicate nel costume di questo specifico collezionismo.
La prima è una diffusa abitudine di attribuire la stima economica dell’opera alla bellezza intesa come immediata percezione di forme e volumi accattivanti e di immediata fruizione. Perché? A mio parere perché il target collezionistico è quello di potenziali clienti provenienti dal collezionismo di arte moderna e contemporanea per i quali, forme stilizzate ed audaci realizzazioni plastiche, trovano maggiore considerazione rispetto ad altri parametri.
Va da sé che non è certo mia intenzione svilire il gradiente estetico delle opere dell’arte tradizionale africana, ma certamente una cosa è il valore estetico, un altro quello estetizzante, vacuo e senza radici storiche.
La bellezza di queste opere non consiste soltanto nella loro apparenza, ma si coniuga con i loro significati simbolici, con la tradizione ieratica, con il momento storico/geografico che le ha generate; il vero apprezzamento è dato dal ” riconoscere pienamente la diversità culturale, la vitalità intellettuale e l’integrità estetica dei suoi creatori” (S. Price, 1992).
Importano ancora qualcosa queste fondamentali considerazioni o la collocazione dell’opera su di un mobile di design è l’unica preoccupazione?
Voglio pensare che questa tendenza sia per fortuna marginale, ma di fatto, è una linea presente nel mercato dell’arte tribale.
Hunting charm. A caccia con l’amuleto !
Conseguenza di questa matrice interpretativa, anche se non immediatamente percepibile, è l’ipertrofica importanza all’attribuzione ed alla provenienza delle opere. Relegati a fattori secondari considerazioni etnografiche e significati simbolici, è del tutto evidente che sia giocoforza di massimo interesse, per il collezionista scevro di interesse e conoscenza, quel che prosaicamente è stato definito il pedigree,
Anche in questo caso, non voglio sottovalutare affatto l’importanza di una puntale ricostruzione delle vicende che riguardano la provenienza ed il possesso precedente dell’opera, ma certamente l’esagerata attenzione soltanto a questi fattori conduce a sottovalutare una grandissima parte di opere che, al contrario, meriterebbero un’altra attenzione, stante l’intrinseca loro qualità. E di sicuro, galleristi e case d’asta non sono esenti da responsabilità nel diffondersi di questa dinamica.
La determinazione del prezzo dell’opera, quanto dipende da quello descritto fino ad ora? A mio parere tutto ciò incide sommamente e determina un innalzamento del prezzo, sovente molto lontano dal valore intrinseco dell’opera stessa. Tutto ciò, di fatto, esclude a priori una grandissima parte di potenziali collezionisti e nello specifico di quelli più giovani, notoriamente privi, in generale, di grandi possibilità finanziarie.
La partecipazione ad una sola seduta d’asta, una visita alle gallerie, un tour alle fiere specializzate nelle capitali europee, sono più che sufficienti per confermare l’età media dei partecipanti.
La risposta alla domanda iniziale circa il futuro del collezionismo tribale, alla luce delle semplici considerazioni illustrate, non è pertanto di facile definizione.
A questo proposito, io penso, che una possibile risposta al quesito risieda nel considerare l’approfondimento e lo studio, forse gli unici deterrenti al propagarsi di una moda che privilegia unicamente il censo e l’età del collezionista.
Nello studio dell’arte tradizionale africana sono ancora oggi individuabili ambiti di collezionismo di nicchia, che il mercato ufficiale non considera per svariati motivi, quando non intere produzioni artistiche di numerose popolazioni affatto conosciute.
Il cambiamento di paradigma, da mero contemplatore ad attivo fruitore, è un percorso certamente più ostico, ma immensamente più proficuo e soddisfacente. Favorire questo passaggio è auspicabile sia opera di tutti gli operatori del settore, non orientati unicamente alla valutazione economica delle opere.
Lì, infatti, sta il vero tesoro del ricercatore e del collezionista che, per far questo, non necessità di illimitati cespiti, ma soltanto dell’autentico valore aggiunto di ogni avventura culturale: la curiosità e la passione, che per fortuna, non sono merce riservata soltanto alle élites!
Elio Revera
N.B. Le opere illustrate hanno una caratteristica descritta nell’articolo…. che l’attento lettore avrà già individuato!
Secondo me sono anche opere che hanno oltre a una connotazione simbolica un uso nel quotidiano.
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Non direi proprio! Le opere tradizionali africane sono espressione di riti e culti oramai scomparsi da decenni se non da secoli, grazie anche al tenace impegno colonialistico e religioso dell’occidente. Inoltre, a parte qualche eccezione, fin dalla loro origine non furono mai considerati “oggetti quotidiani” proprio in virtù del loro significato simbolico ed ieratico.
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