Non è affatto raro il riutilizzo di reperti preistorici, utensili della vita quotidiana, punte di lancia, di freccia ecc… in contesti i più diversificati e questo avviene anche in Africa.
Nelle terre comprese tra la Sierra Leone e la Guinea e marginamente la Liberia, i ritrovamenti di antiche sculture da parte delle popolazioni Kissi e Koranko in Guinea e Sierra Leone, dei Mende e Kono in Sierra Leone, dei Toma-Loma in Guinea e Liberia e da altri popoli stanziati in quell’area, non costituisce un evento straordinario.
Lavorando nei campi, gli agricoltori locali si imbattono in vestigia preistoriche, ovvero rinvengono delle statuette antropomorfe di pietra appartenenti agli antichi Regni dei Sapi, regni che si estendevano lungo le coste della Sierra Leone nei secoli precedenti e che presumibilmente hanno raggiuto il loro apogeo tra il XV ed il XVI sec. (A. Tagliaferri, 2003).
Cartina geografica dell’Africa centro/occidentale e dei ritrovamenti lapidei. Courtesy Tagliaferri, 1989
I Kissi le chiamano “pietre dei morti” ovvero “pomtan” ( sing. pomdo) e le utilizzano nei loro corredi funerari attribuendogli un grande potere magico e, stante l’origine misteriosa, se ne servono come amuleti protettivi.
Peraltro, curiosamente, accanto a questi ritrovamenti antichi i Kissi hanno continuato a fabbricare similari statuette almeno fino alla metà del XIX sec., (D. Paulme, 1954), come ci ragguagliano altresì numerosi rapporti tra i quali quello dell’amministratore coloniale M. Humblot che svolgeva il suo servizio a Kankan (Guinea Francese) e che, in una lettera del dicembre 1913, ci informa che le popolazioni locali continuano la tradizione della fabbricazione delle statuette in pietra a figurazione umana, una tradizione che non ha mai cessato di esistere.
A ben vedere siamo difronte ad una situazione che dal punto di vista interpretativo costituisce una vera e propria sovrapposizione semantica: quelle statuette infatti vivono una duplice esistenza: prima con i Sapi che le scolpirono e poi con i Kissi che le riutilizzano, attribuendo loro nuovi e peculiari significati.
Doppia esistenza, doppio utilizzo, doppio significato!
Si può ben affermare …la pietra che visse due volte, memori del genio cinematografico di Alfred Hitchcock!
T. Alldridge, 1907
La tradizione di replicare le antiche statuette antropomorfe sconta ovviamente una risibile qualità artistica rispetto alle produzioni originarie dei Sapi, risalenti ai secoli antecedenti, ed è appannaggio di una casta di artigiani-sorciers che scolpiscono le piccole sculture e le utilizzano nelle loro pratiche magico/religiose.
A questo proposito M. Delafosse, in un suo lontano articolo, ci narra un gustoso episodio in cui furbizia, malafede e creduloneria appaiono intricate in un unico esilarate plot narrativo degno della penna di Jorge Amado.
“L’artisan sorcier sculpte chacune des statuettes q’il fabrique à l’image aproximative d’un personnage mort depuis un certain temps déjà. Lorsque la statuette est terminée, il la cache en l’enfouissant dans quelque endroit écarté. Puis, à quelque temps de là il va trouver la famille du mort et lui dit: “J’ai vu en songe le disparu; il m’a fait connaître q’il voulait sortir de terre et que, si l’on ne déférait pas à son désir, il se vengerait sur les membres de sa parenté”.
West African Shaman c. 1904, photo by Robert Hamill Nassau
La famille alors presse le sorcier de questions a fin d’en savoir davantage; celui-ci se fait remettre des cadeaux pour procéder à diverses opérations magiques destinées soi-disant à lui faire connaître l’endroit où s’est transporté le défunt, puis il indique la direction dans la quelle il convient d’effectuer les recherches et mène la famille à l’endroit où il a enfoui la statuette. On fouille le sol avec des houes et au bout d’un certain temps, on tombe, comme par hasard, sur l’objet dans le quell l’esprit du mort est censeé s’être incarneé.
Après avoir généreusement recompense le sorcier, les descendants de l’ancêtre réunissent les gens du village et leur font part de la merveilleuse décuverture. On immole des animaux de boucherie, on arrose la statuette avec le sang des victims, on fait bombance, puis l’on porte l’image sacrée dans la chapelle réservée au culte des ancêtres, où elle deviant une nouvelle idole.” (Revue d’Ethnographie et de Sociologie (1914, Parigi, Leroux ed., I vol.)
Bell’apologo che potrebbe indurci in ragionamenti che esulano dal contesto di questo argomento, ma che sono di stretta attinenza: quella statuetta Kissi, realizzata ad imitazione di un antico Pomdo per fini eminentemente truffaldini, scolpita tuttavia più di cento anni fa in Africa con l’ausilio di utensili originari ed utilizzata poi nel contesto famigliare, è da considersi autentica o no?
Certamente è degna di comparire in una wunderkammer… resta da dimostrare la sua valenza qualitativa ed il suo valore artistico che, stante la narrazione di Delafosse, non mi sembrano particolarmente irresistibili!
La rilevanza delle originarie sculture Pomtam dei Sapi, al di là del loro valore intrinseco, è connaturata al fatto che esse costituiscono prove documentali di usi e tradizioni di un popolo misterioso del quale ben poche sono le testimonianze note.
Come ho già scritto in altro articolo, (https://artidellemaninere.com/2015/04/18/sapi-people-pomdo-bound-chief-stone-fomaya-area-eastern-sierra-leone/), la ricerca di Aldo Tagliaferri è, a mio parere, la più significativa perché riesce a coniugare la valenza estetica con la documentazione storiografica di Regni tanto lontani nel tempo e nello spazio.
Riprendo quel che scrive Tagliaferri:
… indagando sulla storia dei Regni dei Sapi, ho potuto così identificare in Acestors Fabulous (1974), grazie a riferimenti contenuti nel Tratado di Almada (1594), l’allusione ad una antica cerimonia in sculture che sembrano rappresentare dei prigionieri mentre invece si tratta di capi Sapi.” (Tagliaferri, 1989).
Guerriero che mostra la testa mozzata di un nemico. Cm 6,2. Tagliaferri 1989
“Allo stato attuale delle conoscenze, sono da considerarsi particolarmente antichi gli esemplari che rimandano a determinati utilizzi, simbologie e riti, sovente riconoscibili anche per sintetiche e minime narrazioni.
Ne ricordo alcuni, che mi paiono particolarmente significativi: quello relativo ad un processo giudiziario descritto da André de Almada, durante il quale i difensori degli accusati indossavano delle maschere impressionanti; quello che rappresenta un guerriero attorniato dalle teste mozzate dei nemici uccisi; ed infine, quello che si riferisce all’intronizzazione di un nuovo re che, nel corso della cerimonia, doveva essere legato come un prigioniero, sanzionando in tal modo un sacro legame tra la più grande autorità prescelta e la comunità che l’aveva eletta.” ( Tagliaferri, 2003)
Dignitario legato perchè scelto come futuro capo, secondo un cerimoniale in uso presso i Sapi. Steatite grigio-verde. Cm. 11,7. Tagliaferri 1989
Le sculture che raffigurano un dignitario legato sono degne di nota, a parte ogni valenza estetica, perché conservano e tramandano il significato sacrale della costituzione della regalità che, come sappiamo da René Girard, passava attraverso la scelta di un capro espiatorio mediante il quale si liberava la tribù dai mali che la affliggevano; probabilmente, in origine, il re veniva ucciso, e in ogni caso non si può negare, in Africa, l’esistenza di una ideologia secondo la quale il capo poteva, o doveva, essere ucciso. (Claessen, 1981-Tagliaferri, 1989)
Altro dignitario legato. Soluzione formale più sobria del precedente e materiale meno prezioso. Cm. 20,5. Tagliaferri 1989
Con le sculture Sapi si salda in modo esemplare il connubio oggetto/documento che costituisce, al di là di fantasiose elucubrazioni, l’approccio più corretto alla cultura artistica primordiale o ancestrale, art primordial ou culture ancestrale.
Non sfugge infatti ai più il tentativo in atto, specie in ambito mercantile, di attribuire a questo o quel maestro, atelier o scuola, l’esecuzione di manufatti che spesso non hanno nulla a che fare tra loro.
Un approccio meno abborracciato a questo tema sarebbe auspicabile e certamente più rispettoso dei popoli e delle culture che quei manufatti hanno creato.
Elio Revera