
Cacciatori Lobi (Burkina Faso), Photo A. Heim, 1934
Ben diversamente dal significato dei giorni nostri, il rito della “caccia” è stato per tutti i popoli dell’Africa sub-sahariana un momento di forte identificazione collettiva destinato a perpetuare la tradizione e la socializzazione della propria specifica cultura.
“ Le chasseur de même que le guerrier, dont le savoir et l’endurance s’acquièrent et s’affirment au cours de l’initiation, trascendent tous les dangers. Reconnus et honorés pour leur pouvoir- ils garantissent la vie de la communauté à la quelle ils assurent nourriture et protection -, ils sont par ailleurs craints parce qu’ils versent le sang et infligent la mort. C’est pourquoi des rites ayant parfois comme supports des objets en bois, en ivoire ou en metal visent à favoriser leur réussite, à les protéger, mais aussi rétablir l’équilibre du monde sans cesse menace par leur actes”. (Christiane Falgayrettes Leveau, 1998)
La caccia come necessità di sopravvivenza, i riti al fine di propiziarla e soprattutto i riti per il ripristino dell’equilibrio di quel mondo naturale che in ogni caso la caccia ha profanato con il versamento di sangue animale e di morte, sono i pilastri che pur con diversissime manifestazioni si riscontrano in tutte le culture di quei luoghi.

Cacciatori Dondo, Congo,Cartolina postale fini XIX sec. Courtesy AAN.
Anche tra le popolazioni del Congo sud/occidentale, ai confini attuali dell’’Angola, tra gli Yaka, i Suku e gli Holo, la caccia costituiva uno tra i momenti più significativi della vita degli uomini.
Come ha scritto Arthur P. Bourgeois ( Art of Yaka and Suku), “l’homme adulte est chasseur avant tout. Au-delà de la quête de nourriture la chasse confère à l’homme un statut sociale, et elle est la quintescence des activités masculines. Tandis que la femme est considerée surtout pour sa capacité à enfanter, un homme est celui qui montre son adresse à la chasse et procure de la viande à ses parents”.
Insieme alla lancia, all’arco e la carabina, vari oggetti rituali accompagnavano il cacciatore.
Anzitutto un sifflet di varie fogge, lungo (kondi kondi) o sferico (ndembà), destinato a segnalare la presenza, impartire gli ordini, richiamare i cani. Il sifflet, oltre che essere necessario per gli atti indispensabili durante la caccia, era considerato un oggetto rituale a protezione degli spiriti negativi legati alla stregoneria e per questo, sovente, era avvolto nella pelle presa dalla caviglia di un’antilope ed una testa umana era scolpita nella parte inferiore dello stesso.
“De nombreux pendentifs, paquets de charme constructions et poteaux sculptés sont associés à la chasse comme talismans personnels…des scuptures au visage humain portant des cornes verticales sont liées à une certaine varieté de pièges…”( A.P. Bourgeois, op. cit.)
Proprio in riferimento a questo ultimo oggetto rituale e propiziatorio nella caccia con l’utilizzo di trappole, ho cercato nella documentazione del Musée Royale de l’Afrique ( Tervuren) e nell’archivio Yale University Art Gallery gli esemplari conosciuti, a mio parere estremamente limitati e rari. Le misure variano da 15 ai 40 cm, anche se la maggioranza è di circa 20 cm.
Tutte le immagini che seguono, ad eccezione di una, sono tratte dai due Archivi citati, ai quali vanno il mio personale ringraziamento e la mia considerazione.
In questi sei esemplari Yaka di chiara matrice etnografica, si riscontrano, quale elemento comune, le lunghe corna, un viso sommariamente scolpito ed in alcuni la presenza di un ricettacolo ventrale destinato a contenere la sostanza magica che il devin approntava allo scopo di tenere lontano gli spiriti che potevano comportare una caccia sfortunata.
Anche questi tre successivi sono stati classificati come oggetti appartenenti alla cultura Yaka. In essi appare maggiormente delineata la perizia scultorea di chi li ha fatti.
I successivi, invece, appartengono al popolo Suku. In due casi le braccia sono state scolpite nella postura tipica dell’iconografia Suku. In uno si nota la presenza del ricettacolo per accogliere la sostanza magica.
Anche il prossimo, appartenuto alla Coll. Brill, di gran lunga quello con maggiore valenza artistica, è stato attribuito alla cultura Suku.

Ex Coll. Brill, cm 20
Sono invece soltanto due gli esemplari Holo conosciuti di questa tipologia, il primo al Tervuren, il secondo in una raccolta privata.
In entrambi gli esemplari si notano le scarificazioni sul volto che connotano la cultura Holo, la presenza delle braccia, le corna dritte e non eccessivamente lunghe e la presenza del ricettacolo ventrale.
Con queste opere si esaurisce l’intero repertorio conosciuto in letteratura degli Yaka, Suku ed Holo per quanto attiene a questa tipologia di hunting charms…almeno per quel che mi è dato conoscere.
Elio Revera