Lasciando lo scuro all’oscuro…

Nei precedenti lavori, Emozione e ragionamento (https://artidellemaninere.com/2014/12/30/emozione-e-ragionamento/) ed  R come…(https://artidellemaninere.com/2015/01/23/r-come/), sottolineavo a mio giudizio, l’importanza del superamento  emozionale nella valutazione critica di un’opera tribale.

Beninteso che l’emozione è fondamentale, eccome!!

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Henry Cartier-Bresson (1908-2004)

La mia idea, però, consiste nel tentativo di dare una lettura estetico/antropologica svincolata il più possibile da pregiudizi occidentalistici, sia di quelli sedimentati da decenni, sia di quelli di nuovo conio.

Pervenire cioè ad un’ermeneutica simbolica originale che nello strettissimo sentiero del déjà vu, del prevedibile o dello scontato, approdi ad una interpretazione insieme critica e lungimirante.(V.https://artidellemaninere.com/2016/03/14/arte-e-mito/ e nella versione in francese https://artidellemaninere.com/2016/03/25/arts-et-mythes/)

Un passo in questa direzione è l’addivenire, per quanto possibile,  alla conoscenza del  significato rituale e simbolico dell’oggetto tribale, vale a dire alla comprensione delle motivazioni di varia natura che hanno portato alla creazione di quel determinato oggetto, in quel determinato contesto culturale.( V.https://artidellemaninere.com/2015/04/23/976/)

Una maschera, una scultura si offrono ai nostri occhi e su di esse si proiettano un’infinità di attribuzioni ed interpretazioni a seconda della conoscenza e sensibilità artistiche di chi le  osserva, ma il loro primigenio significato, proprio della cultura e della società, prima che dell’artista tribale che le ha scolpite, non si palesa nella forma o nei volumi.

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Due maschere Dan della Liberia ( ex Brill e Serra coll.). Appartengono alla medesima cultura, ma esprimono e rappresentano due significati simbolici e rituali diversi. E la loro forma lo suggerisce, ma non spiega quale diversità.

E’ compito della ricerca ermeneutica attraverso la storia e l’antropologia risalire fin dove possibile al loro significato originale, decifrando il contesto e la cultura in cui è  stata concepita quell’idea che si è materializzata con quelle specifiche forme e volumi.

Idea e forma  sono quindi  inscindibili nella costruzione di un’interpretazione critica dell’arte tribale, molto più e diversamente dall’arte occidentale moderna in cui la creatività del singolo artista  è svincolata da ogni mera ragione contingente.

Non nascondo il paradosso che mi connatura irrimediabilmente: sono un uomo nato e cresciuto nella cultura occidentale, natura e cultura che non rinnego affatto, ma che nemmeno  autorizzo a delimitare il campo con fastidiosi quanto anacronistici pregiudizi.

Ben altri prima di me e con maggiore competenza hanno sgombrato il campo dall’idea che l’arte tribale sia il prodotto di forze oscure, misteriose, che affondano le radici nell’inconscio primigenio dell’umanità, insomma dall’idea che lo studio dell’Arte Primitiva costituisca un’esplorazione del ” lato oscuro dell’uomo”, come ebbe ad annotare André Malraux  (Les Voix du silence, 1952, p.588).

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Da qui tutte le fumisterie esotiche ed esoteriche sui riti magici, irrorati da sangue e carne umana, di danze ossessive e sfrenate, di sesso selvaggio al lucore lunare e via e via in un crescendo di pseudo cultura hollywoodiana tra Tarzan e cannibali con la sveglia al collo e l’osso infilato nel naso!

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Morte, paura, oscurità e mistero accompagnano un’idea siffatta della cultura primitiva accentuando le interpretazioni destinate ad allontanarla dalla cultura occidentale e che J.L. Paudrat (1972), ricordato da S. Price nel suo Primitive Art in Civilizet Places(1989), ha così magistralmente descritto:

Ces écrits nous informent, par exemple, que l’art “primitif” contrevient, entre autres, à l’idéàl gréco-romain de la represéntation du bien et du vrai. La” monstruosité” de ces figures zoomorphiques, avec leur absence de proportions traditionnelles, ne s’oppose-t-elle pas à la “vraissemblance” de l’illusion que cherche à atteindre l’art “civilisé”?…L’exaltation indécente de la sexualité et la grossièreté des sentiments exiprmés ne choquent-elles pas la susceptibilité morale de l’homme raffiné? Enfin, peut-on vraiment parler d’art quand on sait que ces figures souillées du sang de victimes innocentes sont utilisées dans des rites de fétichisme et de sorcellerie?

Più sottile, ma altrettanto deleteria è l’dea che l’arte primitiva sia tout-court accostabile all’arte infantile, essendo  quella manifestazione artistica ai primordi  di una cultura evoluta come lo è il bambino prima dell’età adulta.

Teorie queste smentite peraltro dalla moderna psicologia e pedagogia infantile prima ancora che dalla critica artistica!

Lo stesso termine Arte Primitiva è denso di equivoci e se lo sto utilizzando è unicamente al fine di una comprensione universale ed immediata; so bene che in quell’arte c’è ben poco di primitivo e moltissimo di creativo!

Courtesy Musée Dapper (2)

Courtesy Musée Dapper, Parigi

Questi ed altri stereotipi culturali, peraltro non del tutto abbandonati, sono vecchi arnesi che la critica occidentale utilizzava, ( ed in certi casi ancora utilizza), per marcare una differenza abissale su ciò che dovrebbe essere Arte da quello che al contrario rappresenta tuttalpiù un esotico artigianato, buono per arredatori e viaggiatori in vena di narrazioni sul divano.

Altre e più sofisticate insidie sono però emerse e si sono rafforzate  negli ultimi anni a scapito di una lettura critica ed originale dell’arte primitiva.

L’ingresso di quest’ultima nei salotti buoni dei principali musei consacrati all’ arte occidentale, se da un lato ha sdoganato il significato ed il valore di una creatività ritenuta a torto patrimonio soltanto di polverosi musei etnografici e gabinetti di curiosità, dall’altro ha fatto da apripista ad un nuovo soggetto che, pur se sempre esistito, ha assunto negli ultimi anni un ipertrofico sviluppo: il Mercato!

E per mercato intendo l’intero mondo che lo accompagna, dalle Gallerie d’arte primitiva fino alle bancarelle rionali, dalle Aste alle vendite on-line, dagli expertises ai pedigree dei pezzi, alle attribuzioni e a tutto quelle variegate entità che intermediano tra il pezzo e la sua acquisizione.

Nulla di tutto ciò è rimarchevole, sia chiaro! Ben vengano iniziative e manifestazioni  di varia natura destinate a valorizzare l’arte tribale, ma è innegabile che tutto ciò è anche foriero di nuovi rischi e pericoli per l’arte primitiva.

In primo luogo il proliferare delle copie e dei fakes e di tutto ciò di nefasto che questo comporta , ma su tale aspetto non intendo adesso soffermarmi.

Dakar

Dakar ( Senegal)

Se lo scopo di questo lavoro è infatti il tentativo di perseguire un’interpretazione simbolica originale, ben più interessante è l’analisi della “mutazione genetica “ che è in atto relativamente ai manufatti artistici.

Se prima infatti essi erano, come abbiamo visto, espressione di mistero, superstizione ed infantilismo, ora, più sottilmente, alcuni di loro sono stati elevati sic et simpliciter ad oggetti di culto, ma non nel significato originario del termine, bensì in quello di status symbol!

Marlon Brando Fang

Marlon “fang”

E’ in atto, infatti, una sottile quanto dannosa operazione che mira a scindere la produzione  artistica tribale in due sostanziali categorie: la prima con gli oggetti facenti parte di famose collezioni,  Goldet, Kunin, Gross,  Stone,  Malcom, Rubin solo per citarne alcune e  la cui dispersione è riservata a pochi eletti.

La seconda categoria, costituita da pezzi in misura ben maggiore, per tutti gli altri, cioè  quegli appassionati che pur amando l’arte tribale, sono inevitabilmente destinati a restare alla finestra.

In queste mie affermazioni non c’è nulla di populista o di condanna di classe: i ricchi valgono per me quanto i poveri ed infatti, personalmente, non considero affatto la classe sociale di appartenenza, ma le singole persone!

Il mio ragionamento è un altro e si riferisce alla considerazione che a mio parere, quella distinzione tra gli oggetti d’arte tribale è del tutto artificiosa ed innaturale e riveste caratteristiche eminentemente rivolte  a fini commerciali e non artistici.

Un illustre pedigree o l’appartenenza ad una blasonata collezione, infatti,  non sono affatto garanzia di qualità artistica ed in ogni caso, il valore del detentore, sia collezionista o mercante, non può in ogni caso sopravvanzare la qualità intrinseca d’oggetto stesso.

Come poi non sono accettabili operazioni pseudo culturali che forzando in maniera spropositata il riferimento all’arte delle avanguardie artistiche del primo novecento, individuano labili analogie o addirittura falsi riferimenti!

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L’arte primitiva non è cubista  e nemmeno surrealista e non ha bisogno di questi appigli e sostegni per reggersi sulle proprie gambe!

Non è affatto su questa strada che a mio parere va fondata un’autonoma ermeneutica tribale che, al contrario, deve prescindere,  anzitutto, da quei riferimenti culturali occidentalistici  successivi e non anteriori alla produzione tribale, giova ricordarlo!

Se infatti l’arte africana è in parte debitrice a Picasso ed ad altri artisti  per essere stata rivelata al mondo, questo non significa affatto che debba a loro la sua originale genesi; mai infatti, se non sui testi di arte occidentale, gli ignoti artisti tribali hanno conosciuto e tantomeno incontrato i maestri del primo novecento!

Elio Revera

 

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Photo © Didier Robcis

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