Vicini di capanna

Di certo, oggi,  non esiste essere umano sulla terra che abbia già sperimentato gli effetti di una pandemia virale. Noi tutti, pertanto, stiamo subendo, sia a livello individuale che collettivo,  gli esiti di un  fenomeno planetario sconosciuto e dall’esito incerto. Io credo, però, che l’umanità tutta saprà sopravvivere se, come il lieve e salvifico principe Myškin dell’ ”l’idiota” di Dostoevskij, porrà al centro della propria aspirazione l’armonia concorde dell’umanità. In questo senso la bellezza spirituale, interiore, autentica e pura saprà davvero salvare il mondo. Ognuno, di conseguenza, tenti come può a condividere i suoi peculiari doni, non importa in quale maniera, ma sempre con il medesimo fine. Io ci provo con la mia ricerca sulle Arti Africane, convinto che la conoscenza sia essa stessa un dono della bellezza.

 

In Africa la parola contaminazione non è utilizzata soltanto in riferimento a spaventose epidemie.

Un’altra forma di contaminazione, rivolta a caratteristiche etnografiche, culturali ed artistiche è quella tra alcuni popoli che denotano reciproche influenze stilistiche nella realizzazione dei loro manufatti. Questi popoli, infatti,  condividono territori contigui e le loro creazioni artistico/religiose sono certamente uniche ed autonome, ma sono altresì attraversate da comuni rimandi artistico/espressivi. Questo fatto rompe il diffuso stereotipo che immagina gli antichi popoli dell’Africa isolati, chiusi nel loro mondo quando, invece, forte a volte fortissima, era la propensione a scambi culturali e commerciali.

Un esempio di tale natura è riferibile alle opere dei popoli BwendeBembe e Teke siti nell’area tra la Repubblica Democratica del Congo e quella  dell’ex Congo francese con capitale Brazzaville.

Un’altra dimostrazione, questa, della scarsa lungimiranza del colonialismo occidentale nel momento della definizione dei confini geografici.

 

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Nella vetusta terminologia la denominazione dell’etnia era prefissata da BA, che significa popolo.

 

I Bwende appartengono al gruppo etnico dei Kongo ed il loro territorio, con quello dei Sundi, Dondo, Kamba e Bembe, formava la provincia di Nsundi. Si separarono dalla madrepatria verso la fine del XIII secolo con una migrazione che li portò nell’estrema propaggine centro-occidentale dell’attuale Repubblica Democratica del Congo, quella che si incunea fino all’oceano Atlantico, verso la regione angolana della Cabinda e la Repubblica  del Congo. Stretti tra i vicini Teke e Bembe, i Bwende hanno mantenuto, come detto, una propria autonomia artistica nella loro creazione scultorea, sebbene alcuni stilemi, soprattutto per quanto attiene la postura, siano comuni ai tre popoli.

 

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Le statuette lignee Bwende, come quelle Bembe sono generalmente comprese tra i 15 ed i 40 cm di altezza.

 

In particolare, questa figura presenta una stazione eretta caratterizzata da corte gambe, ginocchia leggermente flesse e braccia piegate ad angolo retto ed era associata ai riti di guarigione e divinazione. La bocca chiusa, la barba sul mento, le larghe spalle, i piedi arrotondati e senza dita, la tipologia di scarificazioni sul volto, tronco e dorso, sono  caratteristiche peculiari dei canoni stilistici Bwende, unitamente alla tipica foggia del copricapo asimmetrico. La figura, denominata ntelemono mufwokama, era legata al culto degli antenati, stringe tra le mani due contenitori di zucca, forse destinati a pratiche di guarigione.

La produzione artistica di questa popolazione era incentrata sui riti funerari per i quali venivano realizzati grandi manichini che fungevano da reliquari, i niombo, figure antropomorfiche in tessuto, portate in processione prima della sepoltura al suono di tamburi e di trombe.

 

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Cartolina postale di inizio ‘900 raffigurante un funerale Bwende con l’esibizione di un niombo, imponente figura reliquiario in tessuto. Photo E. Karlman, Kingoyi  Manianga Region, 1925

 

Lo stesso rito funerario era celebrato anche tra i Bembe, le cui figure-reliquario in tessuto, di minore imponenza, erano denominate muzidi o muziri (figura in basso), a testimonianza del rapporto e delle contaminazioni interculturali tra i due gruppi etnici.

 

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I Bembe condividono con i Bwende il medesimo gruppo etnico Kongo ed il loro territorio è situato nella parte estremo-meridionale della Repubblica del Congo ad ovest di Brazzaville, nella regione compresa tra Sibiti e Mouyondzi e confina con quello dei vicini Bwende e Teke.

I Bembe erano animisti e la loro espressione artistica era connotata soprattutto da sculture antropomorfiche di legno che commemoravano e celebravano gli antenati. Gli antenati erano ritratti in varie posture ed impugnavano diverse tipologie di oggetti: coltelli, contenitori di zucca, bastoni e fucili. Il corpo, molto spesso, era caratterizzato da profonde e complesse scarificazioni, come nella figura sottostante.

 

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Pur in presenza di numerosi sub-stili scultorei, le figure degli antenati, denominate nkumba, erano di piccola taglia. Due erano le principali tipologie iconografiche: quelle per rappresentare i capi defunti della comunità e custodire la memoria del clan, e le figure di potere usate dagli indovini per la cura delle malattie. Alla morte del proprietario la statuetta veniva consacrata inserendo, in un piccolo foro praticato all’altezza dell’ano, una miscela magica composta anche da micro parti del corpo del defunto. La nkumba, incorporato lo spirito dell’antenato, diveniva così una figura ancestrale denominata nkiteki. A quel punto, il nkiteki era conservato in un angolo della casa di famiglia e custodito dal maschio più anziano del clan.

 

'French Congo, Batéké family. Congo Français. Photograph by J. Audema. ca.1905

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Villaggi Teke nelle cortoline d’epoca coloniale

Provenienti dalla riva destra del fiume Congo, il popolo Teke, che occupa territori a nord del Congo, fino ad avere propagini in Gabon e oltre il fiume Congo lungo le sponde della Repubblica Democratica del Congo, nell’area di Kinshasa. Gli antichi Teke,  citati dai primi esploratori europei anche con la denominazione di Anzichi, Ategue, Moteques, Meticas, Bakono, Tio sono stati un popolo bellicoso, affatto immune da traffico degli schiavi. Questa etnia fu descritta nel 1887 dal Dr. Mense, che attribuì le loro statuette agli scultori Wuum,  l’antenato Teke che si mescolò, sulla riva sud di Malébo, con le popolazioni Kongo e lavorò su ordine dei villaggi Teke vicini di territorio.

Nel 1880, un esploratore friulano, ma naturalizzato francese,  Pierre Savorgnan de Brazza, nobile friulano, naturalizzato francese, stipulò un trattato con il Re dei Teke, Makoko di Mbé che prevedeva un’ alleanza con la Francia, ma che di fatto ne  annetteva i suoi territori.

 

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Il re Teke, Mokolo di Mbé con la famiglia e, nella teca a destra, il trattato stipulato con Pierre Savorgnan de Brazza

 

Il Re temeva che i bianchi si alleassero con le loro  popolazioni nemiche, i  Kota del Gabon meridionale ed i Kongo. L’attuale capitale della Reppubblica del Congo, Brazzaville, deriva la sua denominazione dal nome dall’esploratore friulano.

 

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Pierre Savorgnan de Brazza a colloquio con il re dei Teke

 

Le statuette magiche Teke  quasi sempre di tipo maschile, sfuggono anche a catalogazioni precise, poiché solo il destinatario e chi le fabbricava ne potevano conoscere i poteri intrinseci e l’uso al quale erano destinate. Le più rappresentative del culto degli antenati erano cariche di reliquie che ne materializzavano lo spirito e il potere soprannaturale.
Le statuette legate al culto degli antenati giunte a noi denominate biteki, bitegué o itio, come le definisce lo storico Jan, sono di due tipi: quelle consacrate, che rappresentavano fisicamente l’antenato (buti), e quelle senza reliquie o aggiunte di sorta (nkiba).

 

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Il bilongo visibile nell’immagine qui sopra, è il contenitore di argilla delle statuette consacrate, “veicolo di valori etici, politici e persino legali” (Lecomte e Lehuard, Batéké, Les Fétiches, 2014, p. 41)

Questo feticcio barbuto, alto 35,5 cm., con le classiche scarificazioni striate, è una scultura di grande qualità espressiva. Ciò, tuttavia, è di secondaria importanza. Quel che dà valore a questo oggetto magico sono i componenti medicinali che esso contiene nel bilongo di forma conica di argilla e resine, rara nella produzione artistica dei Teke.

Il feticcio è prima scolpito con una cavità quadrata, che viene successivamente riempita con ingredienti speciali, che includono, a volte, nella miscela un pezzo della sua barba e ingredienti prescritti dal divinatore investito di funzioni magico/religiose. Uno strato di resina, che contiene più sostanze magiche, è aggiunto e polvere di tukula rossastra e viene strofinata sul legno per assicurare il potere magico.
Denise Paulme suggerisce che queste figure magiche sono a protezione dei bambini (vedi Les Sculptures de l’Afrique Noire). Alla nascita, un pezzo di placenta del neonato è mescolato con tukula e collocato nella cavità. La figura segue il bambino fino all’adolescenza, quando viene rimossa la carica magica.
I feticci Teke sono abbastanza comuni, è raro però trovarne uno finemente scolpito come questo “ (Linda Sigel, African arts, autunno 1971, vol.5, n.1)

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La grande qualità artistica propria della creatività dei popoli Bwende, Bembe e Teke è visibile nelle opere qui pubblicate. Lo scopo di questo lavoro è però un altro: mostrare la contiguità stilistica della scultorea di questi popoli che le vicende storiche hanno separato, ma il cui  immaginario creativo permane nel loro interscambio simbolico ed artistico.

 

Elio Revera

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