In un precedente lavoro, la produzione scultorea del popolo Mumuye è stata osservata a partire dalle statue ed in particolare da quel primo nucleo che entrò in Europa all’inizio del XX sec. (https://artidellemaninere.com/2014/11/23/mumuye-people-iagalagana-figure-adamawa-plateau-muri-division-of-adamawa-province-nigeria/).
L’arte Mumuye, anche se la prima volta che fu esposta fu in Danimarca nel 1965/66, venne consacrata nel 1968 con l’esposizione della galleria Majestic di Parigi, dove Michel Huguenin ed Edouard Klejman mostrarono a tutto il mondo ben diciotto statue di quella cultura.
Tutto sommato, la conoscenza dell’arte Mumuye è da considerarsi piuttosto recente rispetto a quella di altri grandi popoli africani, ad esempio del Mali, Costa d’Avorio e del Congo.
In realtà con la denominazione Mumuye ci si riferisce a differenti popolazioni di agricoltori stanziali delle colline rocciose a sud del fiume Benue, tra i centri urbani di Jalingo nello stato di Taraba e di Jeleng in quello di Adamawa, nel nord-est della Nigeria.
Mappa dei territori Mumuye. Couresy Marla C. Berns e Richard Fardon.
La produzione dei Mumuye, oltre alle statue, comprende però anche un numero cospicuo di maschere orizzontali, definite vaa-kono e vaa-bong (J.Stribol, 1985), ed anche di un ristrettissimo novero di quelle definite di volta in volta, maschere da spalla, maschere/casco e, di recente e più correttamente, maschere verticali (Marla C. Berns, 2011).
Due maschere zoomorfe orizzontali Mumuye
In questa sede ci si occuperà delle maschere verticali.
Questa tipologia di maschere antropomorfe (quelle orizzontali, per inciso sono invece zoomorfe), appare in pubblico ben di rado e sostanzialmente è costituita da una testa femminile sormontante un lungo collo con grandi orecchie forate ad imitazione dell’antico uso delle donne Mumuye di introdurre nel lobo dell’orecchio un disco di legno.
( Foto A. Rubin)
Il collo della maschera poggia su di una superficie arcuata, più raramente piatta, da cui discendono due bande parallele punteggiate da piccoli fori. La banda anteriore ha una apertura quadrata o rettangolare, che garantisce la visibilità a chi la indossa; l’abbigliamento della maschera è poi completato, in situ, con lunghe fibre vegetali, strette nei piccoli fori.
In questa immagine realizzata da A. Rubin nel 1970, nei pressi del villaggio di Yendang, è possibile vedere come veniva indossata la maschera. (Courtesy Fowler Museum At Ucla)
Nondimeno esistono, in piccola percentuale, maschere verticali con le orecchie non forate aderenti alla testa e che rappresentano la figura maschile.
Maschere verticali maschili. Coll.ni private Parigi.
Le maschere verticali, a dimostrazione del fatto che si riferiscono tipicamente alla figura femminile, sono denominate sukulu da J. Strjbol cioè “la donna della foresta”, ovvero sukuru da A. Rubin, vale a dire, “ la vecchia signora”.
Sempre secondo Strybol, in alcune regioni, queste maschere sono altresì denominate col termine sukwava cioè “la vaa con la testa di donna”.
La grandezza di queste maschere è varia: da circa 80 cm fino a 140/150, anche se la maggior parte è compresa intorno ai 100/120 cm di altezza.
Questo tipo di maschera usciva in tempo di guerra o per celebrare la morte di un valoroso guerriero ed, in tempi più recenti, il suo impiego è legato a cerimonie agricole, per favorire la pioggia e per accelerare le guarigioni.
Secondo Strybol (1985), le maschere sukwava, in particolare nella regione di Lama, erano impiegate nella cerimonia biennale dell’ ushavuko durante la quale si invocava l’aiuto ed il sostegno degli antenati per i raccolti e la caccia.
L’impiego rituale piuttosto limitato di questa tipologia di maschera Mumuye è all’origine, io credo, del numero esiguo di esemplari conosciuti in letteratura. Altre sicuramente ce ne sono, ma, a tutt’oggi, sono poco più di trenta maschere quelle che costituiscono l’intero corpus che ho rintracciato.
Grazie al prezioso lavoro di Guy van Rijn, al quale va il mio personale ringraziamento, ed alla cortese disponibilità dei musei, J.Chirac du Quay Branly di Parigi, Brookyn Museum, Fowler at Ucla di Los Angeles, il Seattle Art Museuem, e di alcuni collezionisti privati, è di seguito illustrato il corpus delle maschere verticali Mumuye.
Da sx verso dx: J.Chirac du Quay Branly di Parigi (111 cm.), Brooklyn Museum (90 cm.), Fowler at Ucla di Los Angeles (103 cm.), Seattle Art Museuem (102 cm.)
La prossima sukuru della coll. E.Y. Develon di Parigi, misura 108 cm. ed è particolarmente significativa , a mio parere, perchè è l’unica fotografata da A. Rubin in situ, completa di tutto l’originario costume.
Della prossima maschera verticale, fotografata sia frontalmente che di profilo, si conoscono quattro esemplari realizzati dalla medesima mano.
Questa imponente sukuru misura 133 cm ed è stata esposta in Svezia a Malmö Konsthall, nel 1986 nella mostra “African Art. A source of ispiration for moder art” e pubblicata sull’omonimo catalogo (Fig. pag.106, # 123).
L’altra delle quattro appartiene ad una collezione italiana e misura cm.95 di altezza ed è stato raccolto in situ negli anni ’70 da Edouard Klejman.
Le analogie scultoree sono evidenti in particolare nella realizzazione della potente ed insieme raffinata testa.
Le ultime due sculture, la cui collocazione mi è ignota, appartenevano negli anni ’80 ad una collezione spagnola di Madrid, l’altra a Pierre-Jean Rivault di Poitiers. (Se qualche lettore avesse notizie in merito all’attuale collocazione o disponesse di immagini, è gentilmente invitato a contattarmi).
Va ricordata, a conclusione di questo lavoro, una curiosità relativa ad una statua Mumuye di cm. 75. (Courtesy Didier Claes)
Se si osserva l’immagine seguente si nota che la statua è priva di braccia, ma dotata di grandi orecchie forate.
Ebbene, io credo che essa rappresenti una sorta di anello di congiunzione stilistico tra una maschera verticale ed una statua.
Stupisce il confronto con la maschera verticale sukuru seguente in cui compaiono le medesime caratteristiche.
Infatti, il lungo collo e le possenti orecchie forate sono comuni, sebbene non appartengano affatto al medesimo ambiente stilistico.
La statua si differenzia unicamente per le corte gambe che ricordano molto da vicino le bande laterali della sukuru.
Davvero la creatività di questi popoli “primitivi” non aveva limiti!
Elio Revera
Particolare del volto della sukuru precedente.