Das Unheimliche – Il perturbante

L’amorevole frequentazione della cultura tribale, il suo critico studio ed approfondimento, la passione con la quale si accostano i manufatti di etnie lontane nel tempo e nello spazio, spesso induce a sottostimare l’impatto visivo che tali manufatti esercitano su chi, estraneo a tali culture, si imbatte in loro.

Mi sono chiesto spesso quale siano le ragioni, al di là dei contenuti formali specifici di una maschera o di una scultura, che spesso inducono uno sprovveduto osservatore a temerli, rifuggirli o addirittura indurre in lui panico e terrore.

Ma poi, queste ragioni, i motivi cioè che scatenano il timore, sono soltanto intrinseci nell’osservatore ovvero sono aspetti costituenti in sé l’essenza dell’oggetto osservato?

In breve…quale è il rapporto che lega l’oggetto al soggetto, il manufatto all’osservatore, quale natura ha questo legame, quali vincoli e quali funzioni sono in gioco?

E’ cioè così peregrino il sentimento di paura? Non è forse per questo sentimento che l’oggetto fu creato?

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Songye Statue, Congo, Early 20th Cen. Photograph by Boris Kegel-Konietzko

Non credo che lo scopo fosse indurre tout-court la paura in chi originariamente fosse venuto a contatto con esso, ma certamente la funzione ieratica che l’aveva generato, nello specifico culturale e storico dell’ etnia di appartenenza,  non esulava affatto dalla volontà di indurre profondi sentimenti, paura e timore compresi.

E’ impossibile descrivere oggi quali pensieri e sensazioni generasse nelle popolazione la frequentazione dei  riti iniziatici o di protezione, dei riti legati alla cultura funebre, a quelli di guerra, di beneficio, maleficio o previsione degli eventi.

 

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Maîtres Danseurs Batshioko, durant les cérémonies d’initiation. Territoire de Sandao, Province Du Katanga, Congo . ca 1931 Vintage press photo by E. Steppé

L’essenza del rapporto dell’individuo con quello che è stato definito il mondo dell’invisibile rimane oscuro  sebbene si conoscano ampie descrizioni di particolari ritologie fatte da studiosi che hanno a lungo soggiornato tra quelle popolazioni.

Per quel che mi riguarda, mi limito a constatare che maschere e statue ed i riti a loro connessi costituissero per le popolazioni originarie motivo di ampio turbamento; per ragioni certamente diverse, il medesimo turbamento dell’uomo occidentale difronte all’ignoto ”tribale”.

E sulla natura di tali sentimenti intendo indagare.

A mio parere, l’impressione più forte e prevalente di fronte all’immaginario tribale è quello del perturbante nell’accezione propria freudiana di “quando il confine tra fantasia e realtà si fa sottile, quando appare realmente ai nostri occhi un qualcosa che fino a quel momento avevamo considerato fantastico …qualcosa che avrebbe dovuto rimanere nascosto e che invece è affiorato”  e che costringe l’Io a regredire “a tempi in cui non erano ancora nettamente tracciati i confini tra l’Io ed il mondo esterno e gli altri.

Credo che questi motivi siano corresponsabili dell’impressione di perturbamento” ( S. Freud, Das Unheimliche, 1919)

“Unheimliche” in tedesco significa “non familiare, estraneo, non usuale”, per Freud, è dunque lo svelamento del rimosso, e in ciò stesso risiede la sua natura traumatica, ansiogena e disturbante.

Ma cosa realmente fanno riaffiorare quegli oggetti, quelle culture lontane da indurre perturbamento e ciò che ne consegue?

Non è per me importante indagare ciò che riaffiora, del resto poco sopra, ben meglio di come potrei fare, Freud è stato chiarissimo; no, a me interessa  perché il perturbante riaffiori,  le cause che spingono l’oscuro, il rimosso, a svelarsi e generare turbamento.

L’inaspettato delle forme, questo, a mio avviso, è l’essenza del perturbante, dell’Unheimliche!

 

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Mumuye Sukuru Zinna, Middle Benue Nigeria. Photography by Arnold Rubin 1970

La visione dell’oggetto tribale, lungi dall’essere una semplice impressione retinica, affonda in un densissimo substrato di antiche forme mnestiche, oniriche, simboliche, fantastiche ed immaginifiche, in quell’autentico crogiolo della genesi dell’immagine che ora appare inattesa, imprevista, spiazzante, attraente e respingente insieme.

La nostra classica e rassicurante percezione centrale o olistica, grazie alla quale l’immagine iconica è decrittata, per tanti oggetti di “cultura tribale” appare inadeguata ed, al contrario,  costituisce quel serio impedimento foriero di un corto circuito logico!

 

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Senufo, Kponiugo or Kopnyungo mask, Ivory Coast Mali and Burkina Faso

Si ha come l’impressione, per entrare in rapporto percettivo con l’oggetto,  di dover ricorrere ad una “percezione frammentata, a pezzi”, come quella utilizzata e descritta dai soggetti affetti da autismo per i quali, sovente, questa è la principale modalità di conoscenza.

Ma ciò non è affatto usuale per la nostra cultura che infatti risulta estraniata, peregrina ed indifesa; ogni certezza è frantumata e l’ignoto spalanca le sua terrifica porta ovvero svela nuovi mondi, come quelli che Picasso e le avanguardie del 900 han saputo ben rappresentare.

Cosa sono stati, infatti, il Cubismo ed il Surrealismo, se non la rinuncia alla percezione olistica a favore della frammentazione/ricostruzione onirica dell’immagine!!

Riaffiora in ciò lo sguardo arcaico che sanciva il rapporto preda/predatore, mai diretto, sbirciante, sottaciuto,  tra uomo e fiera: un antico legame mai completamente dissolto dalla logica e dalla razionalità dei secoli successivi.

Quello sguardo sbieco che è, come ha descritto M. Blanchot, “ ciò che è già prima di ogni cosa, l’immediato e l’estremamente lontano, ciò che è più reale di ogni realtà ed in ogni cosa si oblìa , il legame che non si può legare ed attraverso il quale tutto, il tutto si lega”.

Ma è il solo sguardo possibile per intravedere ciò che è soltanto possibile intravedere, rinunciando, una volta tanto a capire, a comprendere ogni cosa, scoglio illusorio  di fallace sicurezza.

E questa è la sfida che l’arte tribale ingaggia ogni giorno con i coraggiosi che intendono svelarla!!

Elio Revera

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Ibibio Annang Photo C. Partridge 1905

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