La doppia, unica verità

Ci sono alcuni oggetti che non si risolvono nella mera contemplazione, ma al contrario ti interrogano con la forza della loro espressività.

Uno di questi è una maschera che di recente ho avuto la fortuna di vedere dai miei amici Denise e Beppe Berna, collezionisti e mercanti di caratura internazionale in cui primeggiano competenza ed onestà intellettuale…una bella lotta, soprattutto oggi in cui è facile constatare quanto prevalgano, a volte, piccoli egoismi e diffuse meschinità.

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La maschera (33cm) è stata raccolta da Edward Klejman negli anni ’60 e da una pur sommaria valutazione appare molto vecchia, molto usata, con tutti quei segni tipici di un prolungato ed affezionato utilizzo, come dimostrano i restauri tribali alla quale è stata sottoposta.
Raccolta in Nigeria da Klajman in un villaggio di confine della popolazione Ogoni con quella degli Ibibio, nel delta del Niger, la maschera è ascrivibile, in ogni caso, alla popolazione Ogoni seppure siano presenti influenze artistiche degli Ibibio/Anang ( v. maschere mfon ekpo).
Questa antica maschera, denominata karipko, era collegata alle pratiche propiziatorie dei cicli agricoli oltre che alla gestione di particolari eventi riguardanti il villaggio. Utilizzata da giovani danzatori acrobatici che si esibivano al suono di un sacro tamburo, era espressione propiziatoria di fertilità e di forza d’animo.

Sbrigata la pratica storico/descrittiva, vorrei ora concentrami su quanto io trovi di più affascinante in questa potente maschera.

Come si può notare, l’elemento zoomorfo con quegli sporgenti occhi laterali rivestiti di caolino e le corna confluenti sulla sommità, sono gli elementi preponderanti della scultura, direi quasi quasi, gli elementi identificativi.

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Ma si provi ad illuminare gli occhi posti al centro della maschera: le due fessure di sbieco, in alto, dove inizia il bellissimo naso…immediatamente l’elemento zoomorfo scompare per lasciare la visione di un potente ed espressivo viso umano che termina con quella mandibola mobile trattenuta da legacci fatti di elementi vegetali, tipica della cultura Ogoni.

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L’elemento antropomorfo ha il sopravvento e l’intera espressività, prima animale, è adesso antropomorfa.

Come non porsi interrogativi.

Primo. Quelle due fessure sono soltanto l’esito della necessità di indossare la maschera, cioè puri elementi strutturali per garantire la visione del giovane danzante?
No perché non si spiegherebbe la manifesta intenzionalità di un volto con spiccate caratteristiche umanoidi quali il possente naso e la bocca, dotata nella parte mascellare perfino di piccoli denti scolpiti.swq

Secondo. Viceversa, era prevalente nell’artista l’intenzione antropomorfa. Nemmeno, perché gli occhi globulari messi così in risalto e la presenza di corna escludono de facto questa intenzionalità.

Terzo. L’artista, come in tanti altri casi ha realizzato una sintesi di elementi animali ed umani come spesso si rileva in tante maschere non soltanto nigeriane, ma anche, per esempio della Costa d’Avorio e mi vengono in mente le quattro maschere del rito Goli (https://artidellemaninere.com/2015/01/01/baoule-people-kple-kple-goli-mask-ivory-coast/).
No, nemmeno questa spiegazione è soddisfacente perché in questa maschera non sono presenti elementi animali ed umani tout-court! In questa maschera convivono in armonia, ma ben divisi e separati sia l’elemento zoomorfo che quello antropomorfo…è sufficiente guardare la maschera prima negli occhi globulari ed appare il bufalo e poi nelle fessure centrali…l’animale scompare, per lasciare il posto ad una pura espressione facciale umana, espressiva al limite della brutalità.

E questo pone a mio parere seri problemi interpretativi, che esulano dalla maschera ed investono, al contrario sia i significati estetico/espressivi, ma anche quelli simbolico/ieratici.

Articolare in un unicum siffatto le due entità animali ed umane è espressione di una elevata sintesi di pensiero che travalica le intenzioni plastico/artistiche per ipotizzare, al contrario, una ricchezza immaginativa fenomenale, nella quale la sintesi uomo/animale si realizza, ma nel rispetto delle autonome prerogative e peculiarità.

Come se la maschera intenda sottolineare una comune antica origine delle due entità che poi, però, l’evoluzione nel corso del suo millenario percorso ha discriminato, rendendo uomo e animale due entità ben distinte anche se per certi versi complementari l’una dell’altra.

E questa complementarietà se per noi occidentale è praticamente scomparsa, per la cultura Ogoni e per l’ignoto artista che anticamente ha scolpito la maschera è al contrario ben immanente, dal momento che la vita dell’uomo, per quella cultura e per quella società, non poteva di fatto prescindere da quella dell’animale.

Questa maschera, che a mia conoscenza costituisce un unicum artistico celebra insieme la complessità di un raffinato pensiero attraverso l’espressione artistica di una rara potenza evocativa.

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Elio Revera

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