Maschera antropomorfa, tu nkum, etnia Bamum, Camerun, Legno, perline vitree, h. 92,0 cm. Museé du quai Branly – Jacques Chirac (inv. 71.1935.6.1)
Il Camerun in epoca coloniale, prima tedesca, poi inglese e francese, era una costellazione di piccoli reami, tra i quali, i più importanti dell’area centro-occidentali, quelli dei Bamum e dei Bamileke. Pur con elementi comuni, riconducibili all’organizzazione sociale delle chefferies, ognuno dei molti gruppi etnici aveva sviluppato peculiari stilemi artistici. Questa grande maschera antropomorfa Bamum, denominata tu nkum, ricca di eterogenei materiali, quali rame, tessuto e perle di vetro, era indossata durante la celebrazione della festa del nja ed apparteneva all’arte di corte per la quale lavoravano tutti gli artisti. La maschera, fotografata in situ nel 1912 dal Rudolf Oldenburg, si caratterizza stilisticamente per la presenza di un’acconciatura/copricapo con la foggia di una mitria, ornata da quattro lucertole bicefale, proprie dello stigma di corte. La maschera era completata da un imponente costume di tessuto e rafia, che la rendeva protagonista della scena durante le cerimonie. Come la maschera, l’intera arte dei Bamum era sostanzialmente un’arte nata al servizio del potere regale fin dal XVI secolo.
Oggetto rituale peculiare di questa etnia camerunense era un corno animale che, una volta svuotato, era decorato ed inciso con significative incisioni dal potente significato simbolico. Il nome etnico di tale oggetto rituale destinato ad accoglire il vino di palma era Ndunyet.
Di seguito sono visibili tre pregevoli esemplari di palm wine drinking horn che hanno una caratteristica in comune. Pur dispersi in collezioni private sono a mio parere opera dello stesso artista e tutti e tre misurano circa 23 cm.

Il vino di palma svolgeva un ruolo sociale e cerimoniale molto importante in molte società dell’Africa occidentale. Nelle praterie del Camerun, una vasta area culturale situata nel Camerun centrale denominata Grassfields, abitata da un certo numero di popoli imparentati tra cui oltre ai Bamun, i Bamileke i Bamenda e i Tikar, il vino di palma era utilizzato durante i funerali, alla celebrazione dei matrimoni, per l’esecuzione di riti tradizionali e come ricompensa dal re o Fon ai suoi fedeli sudditi in occasioni speciali. Le corna di Bamun sono distintive in quanto la loro intera superficie era interamente scolpita. In altre regioni era lavorato soltanto il pannello centrale del corno. L’intagliatore ammorbidiva il corno con applicazioni di tre mani di olio di ricino, acqua e calore per allargare la bocca e ottenere la forma desiderata. Venivano utilizzate sia corna di bufalo che di bovini nani, sebbene le corna di bufalo, più spesse, diventavano la coppa dei dignitari di primo grado. Altri simboli ed elementi pittorici visibili sui corni del Grassfields sono: il ragno di terra, la testa di bufalo, la lucertola, la rana, una rete da caccia, una palma e conchiglie di ciprea ed infine, la figura del dignitario sui corni più importanti. I vasi per bere di corno erano oggetti di prestigio in contrasto con i vasi di zucca della gente comune.
In questo contesto fortemente identitario si colloca un episodio singolare per l’Africa sub-sahariana dove l’assenza della lingua scritta è elemento ricorrente. In realtà, in pieno periodo coloniale, in Camerun, a Fumban, il sultano del regno Bamum, El Hadj Ibrahim Mbomb Njoya (ca. 1885-1923), provò ad ideare ed introdurre la scrittura all’interno della propria comunità.

Photo courtesy H. Oldenburg in Arts royaux du Cameroun , Louis Perrois.
Nelle intenzioni del sultano, la scrittura era destinata ad illustrare le vicende dei precedenti sedici reami del suo popolo, narrate fino ad allora dai cantastorie. Njoya intraprese la sua fatica nel 1916 e l’opera fu poi pubblicata nel 1952, (Histoire et costumes des Bamum rédigées sous la direction du sultan Njoya).
Uleriori informazioni sulla peculiare scrittura ideata dal sultano sono visibili in questo lavoro a cui va il mio personale ringraziamento.
Elio Revera