L’Africa di Alberto Magnelli

 

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La collezione  africana di Alberto Magnelli, nato a Firenze nel 1888 e spentosi a Meudon, in Francia, nel 1971, composta in gran parte da opere di grande qualità, provenienti per lo più dal Gabon, dalla Costa d’Avorio e dal Mali, fu costituita principalmente negli anni trenta.

 

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Magnelli intratteneva con le sue opere un rapporto affettivo e molto intimo, al punto da portarle con sé, in estate, nel suo atelier di Grasse. L’artista diede questa spiegazione sui motivi del suo interesse per le arti africane:

“Ciò che più mi attira nell’arte negra è innanzi tutto la forza  plastica e l’invenzione delle forme. Evidentemente, il significato di queste maschere, di questi feticci, di questi oggetti, il loro uso e la loro magia m’interessano, ma dopo il fatto scultoreo stesso. Come pittore, è soprattutto la “maniera” con cui questi scultori dell’Africa o dell’Oceania hanno posto o risolto potentemente i problemi plastici, i loro mezzi espressivi e la straordinaria ricchezza d’invenzione che hanno impiegato per lavorare e per realizzare le loro opere, con un tempo illimitato a loro disposizione, senza alcuna preoccupazione delle ore, delle giornate o dei mesi che occorrevano. Si sente, si vede che ci hanno messo tutto il tempo che occorreva e qualsiasi sia la regione di provenienza essi sono sempre stati loro stessi. E’ questo che trovo grande e che ammiro.”

 

 

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Il primo soggiorno a Parigi di Alberto Magnelli fu dal marzo al giugno del 1914.

A Parigi ritrovò i futuristi italiani e particolarmente un suo amico, il pittore e critico Ardengo Soffici (co-fondatore nel 1913, a Firenze, della rivista Lacerba), poi si legò ad Apollinaire, incontrando Picasso, Max Jacob, Fernand Léger, Juan Gris, Archipenko e Matisse.

 

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A quell’epoca, Parigi, non era solo la capitale del cubismo ma il luogo effettivo della scoperta, daparte del mondo dell’arte moderna, della “arte negra”. Mentre Vlaminck, Derain, Matisse, Braque e Picasso raccolsero (verso il 1905-1908) i primi esemplari della loro collezione di arti primitive, un secondo gruppo di amatori specializzati cominciò a organizzarsi, particolarmente intorno ad Apollinaire. Tra questi, lo scultore- mercante Brunner e, a partire dal 1911, il futuro gallerista Paul Guillaume.

Magnelli affermava di avere acquistato il suo primo oggetto, la maschera Pounou (qui sopra), nel 1913 da un marinaio al porto di Marsiglia.

 

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“Message automatique”. Olio su tela, datato 1935. Cm 100×81. Excoll. Olivier le Corneur (Coll. privata).

 

Tornato in Italia dal luglio 1914 all’ottobre 1931, l’artista sperimentò il passaggio all’astratto per poi tornare ad una figurazione arcaica che trovava referenze nell’arte italiana del Trecento e del Quattrocento, ma, a partire dal 1931, con la serie delle Pietre ispirata alla visione dei marmi di Carrara, le preoccupazioni della costruzione architettonica dei volumi vennero al primo posto nella sua ricerca. Questo periodo precedette di poco il suo ritorno a Parigi e la definitiva  fuoriuscita dall’Italia. In contatto con Kandinsky, a partire dal 1933, Magnelli percorse ben presto le correnti vitali che segnarono le strade dell’arte astratta in Francia.

Fu allora che verosimilmente l’artista cominciò a costituire la propria collezione d’arte africana, frequentando antiquari e  marchés  aux pouces. Della sua collezione (che alla fine degli anni ’60 comprendeva circa 200 pezzi)  si può rimarcare l’eccezionale qualità e la profonda coerenza che dona all’insieme un’identità stilistica incontestabile.

 

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La collezione Magnelli comprendeva nella sua originalità due tipi di collezione di arti “primitive”:  quella delle “collezioni d’artista” (Matisse, Picasso, Braque, Vlaminck) che si caratterizzava per la rarità di oggetti di grande livello, privilegiando le scelte stilistiche e brutali e l’eccesso di deformazione espressiva geometrica, e quella delle collezioni dei “mercanti/amatori” (come Paul Guillaume e Charles Ratton dopo la Prima Guerra mondiale) che, al contrario, appuntavano le proprie preferenze sulle opere di alta qualità, testimonianze di un realismo stilizzato e di una raffinata esecuzione. Della “collezione d’artista”, Magnelli adottò l’attenzione alla geometrizzazione e al ritmo espressivo delle forme; della “collezione da amatore”, la ricerca dell’eleganza e un gusto particolare per le figure cariche di ritegno e d’interiorità.

 

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Per simili scelte si può trovare anche qualche spiegazione, poiché dopo la fine della Seconda Guerra, Magnelli sviluppò numerosi contatti con i mercanti specializzati (René Rasmussen, Olivier Le Corner e Jean Roudillon) che gli fornirono parecchi capolavori. Inoltre, la sua ricerca e la sua evoluzione artistica lo portarono ad elaborare un linguaggio plastico che tentava di risolvere la questione della stilizzazione e quella  dell’inscrizione di una forma nello spazio. Infatti, alcune sue pitture evocano opere africane, nel dinamismo plastico sorretto da contrasti di curve e di angoli, di vuoti e di pieni e di superfici convesse e concave, incarnando con semplici segni plastici e con la più grande economia di mezzi una potente monumentalità.

Susi Magnelli, sua moglie, fece dono della collezione di Alberto al Musée National d’Art Moderne nel 1984, pur conservandone l’usufrutto.  Dopo la scomparsa di Susi nel 1994, la donazione, conformemente ai suoi desideri, è stata aggiunta alle altre opere di grande prestigio custodite nel Museo.

Nota :

Questo articolo è stato liberamente tratto e tradotto dalla  prefazione del catalogo d’esposizione: LA  COLLECTION AFRICAINE D’ALBERTO MAGNELLI. Donation Susi Magnelli. 1995, Paris, Centre Georges Pompidou, a firma di Jean –Paul Ameline. (Courtesy Artes Africanae)

 

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“Le Jockey”. Olio su tela, 1928. Musée national d’art moderne, Paris.

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