Dicono che siano i libri a cercarci e questo forse vale anche per taluni oggetti.
Di sicuro, libri ed oggetti significativi ci interrogano anche se abbiamo l’impressione di essere noi a chiedere conto ad essi. Quando mi sono imbattuto in questa piccola scultura di venti centimetri, son rimasto colpito dall’intensa espressività del volto.
Il particolare taglio degli occhi profondi, le labbra socchiuse, il naso camuso, l’ampia fronte regolare, le grandi orecchie ed il piccolo chignon mi sono apparsi degni di nota e mi hanno spinto ad una seria indagine.
L’attribuzione all’etnia di appartenenza non mi convinceva affatto anche se il fatto che fosse stato raccolto da Peter Loebarth deponeva a favore della sua indubbia qualità.
L’insieme dell’opera, la sua atmosfera, mi han riportato ad un immaginario “nilota” ed infatti la scultura non è affatto immemore dell’espressività delle grandi produzioni dell’antico Egitto.
La postura poi, reclinata in avanti con grande equilibrio formale e sapienza scultorea, le mani poste sul piccolo tamburo a due membrane, ben ancorato da cinghie passanti intorno alla vita ed al collo, le gambe leggermente flesse su due ampi piedi che ne garantiscono una salda stabilità, sebbene il piede destro sia monco del metatarso, sono elementi di indubbia raffinatezza e valore compositivo.
Non ultima, indubbiamente affascinante, la scura patina del legno, profondissima e di consistente persistenza, a tratti lucida nelle parti aggettanti a causa del prolungato maneggiamento, come evidenzia la consunzione del legno del dorso delle mani.
L’area di riferimento, di primo acchito, mi ha indirizzato verso il golfo di Guinea ed in particolare verso il Ghana.
Sono numerose, infatti, le piccole figure in metallo destinate al peso dell’oro che rappresentano l’iconografia del suonatore che si esibisce con i più svariati strumenti musicali, tamburo compreso.
Cercando in questo milieu, sono stato attratto dalla produzione degli Asante e dall’atelier di Nana Osei Bonsu in particolare, l’artista ghanese autore di numerose sculture ed apprezzato facitore dei pregiati grandi tamburi nei primi decenni del XX sec., come ci ricordano H.Cole e D. H. Ross. ( The Arts of Ghana, 1977, pag.176)
A mio parere decisivo, però, è stato il confronto stilistico con alcune sculture dell’atelier di Nana Osei, reso possibile dalla cortese disponibilità dello Yale-van Rijn Archive of African Art.
Anzitutto l’esame delle teste.
Quelle di lato sono opere certe di Nana Osei e, fatte salve le inevitabili piccole differenze, a me pare chiara l’intima espressività dei tre volti, un’espressione del viso accentuata e definita in particolare dal taglio degli occhi, affatto comune nella scultorea africana, ma peculiare della cultura Akan a cui appartengono gli Asante, come dimostra l’immagine di questa testa in terracotta e la successiva figura anch’essa appartenente all cultura Akan.
In secondo luogo la postura del personggio che rompe la tradizione consueta dell’effigie dritta e frontale, peculiare della tradizione classica africana.
Il busto reclinato in avanti è infatti di difficilissima reperibilità nell’iconografia tradizionale, se non appunto nelle opere Asante di Nana Osei Bonsu.
La scultura al centro, del Museo di S. Francisco, ha la medesima patina scura del suonatore di tamburo.
Lo scopo di questa ricerca, concludendo, non è tanto nella volontà di un’attribuzione che, peraltro, mai è definitiva, un amico, infatti, mi suggeriva l’etnia keniota dei Kamba, bensì nel piacere sotterraneo e duraturo che accompagna ogni avventura intellettuale, soprattutto, io credo, in questi tempi in cui dissipazione e frastuono sono purtroppo quotidiane e fastidiose presenze.
Elio Revera
E’ da un po di tempo che mi sono appassionato (dalla lettura del libro di Marcel Griaule Dio d’acqua) a l’arte africana e i vostri articoli mi stanno aiutando molto ad entrare nella vera essenzialità di questa materia. Grazie
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Grazie Tonio…tutti gli articoli del blog sono miei!
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