Il dubbio ed il certo

La cultura occidentale ci ha insegnato il valore del dubbio, eppoi la necessità del certo.
Distinguere, nominare, catalogare, classificare…tutto questo è sommamente rassicurante perché ci conforta nell’incertezza, esorcizza il dubbio, la sospensione del giudizio, l’ignoto, in definitiva.
Chiunque abbia compiuto qualche primo passo nello studio delle arti africane, ben presto si avvede che ciò è praticamente impossibile.

Non per nulla siamo nel regno dell’invisibile e ben poco sono utilizzabili i ragionamenti e la logica occidentali.

L’onestà intellettuale dovrebbe garantire l’alea del dubbio ed arrestarsi sul limite dell’ignoto.
Sono convinto che certezza e dubbio, in questo particolare ambito, quello cioè dello studio ed approfondimento delle arti africane, abbiano l’identico valore euristico.
La legittima necessità di conoscere e spiegare deve pur arrestarsi di fronte all’impossibilità di penetrare l’ignoto che tale rimane sebbene descritto con più o meno fantasiose interpretazioni.
Potrei fare tanti esempi, ma ne utilizzerò soltanto uno, emblematico in ogni caso di una diffusa realtà.

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Prendiamo i territori del Congo settentrionale che sconfinano con la Repubblica Centrafricana, in quei territori in cui i popoli Ngbaka, Ngombe, Ngbandi, Manza, Banda ed altri ancora, vivono, convivono e si confrontano da sempre.

Ubangi carta geografica
Courtesy Tribal Art, n. 17/2007

E’ il territorio dell’Ubangi. Ha scritto Georges Meurant, molto saggiamente:

“On sait qu’existent des masques d’initiation oubanguiens. Certains de ces masques, et sans doute les rites qu’ils accompagnent, paraissent être d’inspiration bantoue. L’identification de tels masques est souvent problématique parce qu’ils ne portent pas nécessairement de signes ethniques spécifiques. Enfin les groupes ethniques oubanguiens sont étroitement imbriqués en territoires morcelés, tous ne possèdent pas de sculpteurs. Des sculpteurs ngbaka ou mbanza (les plus nombreux) travaillent occasionnellement pour d’autres peuples.”

Come ha fatto Meurant, fermarsi di fronte all’inconosciuto non è affatto una rinuncia a sapere, bensì è la rinuncia alla pretesa di conoscere da cui derivano nefasti conseguenze culturali ed antropologiche, prima delle quali è l’inevitabile forzatura della realtà, spinta in gabbie classificatorie, degne queste si del letto di Procuste!

Osserviamo le immagini di queste tre maschere che sono state classificate quali Ngombe, Ngbaka, Ngbandi…lascio a voi accoppiare nome e maschera, dal momento che per quel che mi riguarda appartengono tutte e tre alla medesima area culturale dell’Ubangi.

ngbaka

ngombe

ngbandi

Sia chiaro, non vi è nulla di male nel tentativo di confermare un’attribuzione certa, ma io credo, che a volte, forse, è opportuno arrestarsi sulla soglia del dubbio.
Come nel caso di questa scultura dell’Ethnological Museum  di Berlino, il cui cartellino recita con prudente saggezza: Gbaya, Banda o Manza!

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Immagini Courtesy YALE UNIVERSITY ART GALLERY

Sul più modesto piano collezionistico, privo evidentemente di un riconoscimento accademico, le conseguenze sono evidenti anche ai più sprovveduti, quando si parla di oggetti d’arte.

Attribuzioni fantasiose quando non arbitrarie, descrizioni al limiti del grottesco, spiegazioni che sfidano lo sprezzo del ridicolo sono all’ordine del giorno in cataloghi ed opuscoli perché quel che conta, anzitutto, è la certezza di un punto fermo a cui ancorare il nostro dubbioso vacillare, come per ogni bugia che meglio si regge se appesa ad un chiodo di verità.

In tanti casi tutto ciò non è affatto malafede o deliberato inganno: l’origine è da ricercarsi nella nostra primigenia cultura che non sa arrendersi di fronte all’inconoscibile e considera il dubbio, l’incerto, l’inspiegabile quali meri ostacoli da superare, costi quel che costi!

Non importa se oltre l’ostacolo ci sta il nulla: un approdo quantomeno incerto è preferibile al mare aperto.

E’ per questo che preferisco l’oceano, e non credo di essere il solo!

Elio Revera

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