I Mahongwe del Gabon

 

Questo articolo riprende un mio lavoro pubblicato nel catalogo Ex Africa-Storie e identità di un’arte universale  da Skira editore Milano,  in occasione dell’omonima Mostra di Bologna del 2019.

 

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Reliquiario Mahongwe ( fronte/ retro), cm 52,7, conservato al Met di N.Y.

 

Nella regione di Mékambo, nel Gabon settentrionale, il gruppo etnico dei Mahongwe praticava il culto degli antenati realizzando figure da reliquario alquanto difformi da quelli degli altri gruppi Kota. Le due tipologie hanno infatti in comune unicamente l’uso del legno e del metallo. Anche per i Mahongwe il culto prevedeva la raccolta, la conservazione, e sovente la decorazione delle ossa degli antenati di lignaggio. Il reliquiario di questo gruppo etnico, denominato boho-na-bwété (ovvero la faccia del bwété), è un manufatto di legno rivestita da placche e sottili lamine di ottone di una dimensione compresa tra i 40 e i 60 cm circa di altezza.

Secondo Gérard Delorme, questi reliquiari appartengono allo stile più antico, caratterizzato da una figura estremamente ardita, almeno per la nostra percezione, poggiante su un supporto a losanga, destinato a sormontare il contenitore delle ossa.

Uno dei primi reliquari di questa tipologia, attualmente conservato nell’Ethnologisches Museum di Berlino, è stato raccolto nel 1875 dal viaggiatore tedesco Oscar Lenz che aveva risalito il fiume Ogooué sino alla confluenza con I’lvindo.

 

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Figura da reliquario, boho-na-bwété, cm.44, Courtesy Christie’s

 

Merita di essere segnalato che le terre dei Kota sono estremamente povere di rame, materia prima indispensabile per la lega di ottone, e pertanto resta misterioso, come queste popolazioni abbiano deciso di farne un uso massiccio e, soprattutto, come abbiano potuto procurarselo. Il ritrovamento di antichi recipienti, ciotole e grandi piatti in rame ed ottone di origine europea, probabilmente portoghese (neptunes), depone per un possibile contatto con i bianchi, ma certamente non risolve la questione.

 

Quale sia stata la concezione ontologica che ha concepito siffatte figure e quale pensiero creativo le abbia prima ideate e poi realizzate, costituisce un enigma per la critica moderna. Queste opere non sono certo il risultato del caso o di un’improvvisazione fortuita, quanto piuttosto l’esito di un’ammirevole indole artistica. Tradurre sul piano plastico l’immagine rarefatta ed antropomorfica del volto dell’antenato, necessita non soltanto di invidiabili abilità esecutive, quanto la guida di un pensiero capace di sintesi logica ed iconografica.

 

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Boho-na-bwété, cm.48, Courtesy Sotheby’s

Elio Revera

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