Le terme oubanguien désigne un territoire de la RDC. Il exprime par ailleurs l’appartenance de certains peuples à un certain ensemble linguistique. En 1947 l’Ubangi et la Mongala constituaient les deux districts septentrionaux de la province de l’Equateur du Congo belge. En 1963 une partie de ces deux districts constituaient la province de l’Ubangi. En 1988 le Nord-Ubangi, le Sud-Ubangi et la Mongala constituaient trois sous-régions de l’Equateur. Ces anciennes sous-régions sont depuis 2006 trois des vingt-six provinces de la RDC. De nombreux groupes Banda, Mbanza, Ngbaka, Ngbandi et Zande étaient établis jadis sur les deux rives du fleuve Ubangi, en RCA et en RDC. Ces peuples sont dits oubanguiens parce qu’ils parlent des langues oubanguiennes – ils appartiennent ainsi à un grand ensemble qui couvre l’essentiel de la RCA, le nord de la RDC et le sud-est du Soudan du Sud. Ces peuples ont massivement migré de RCA en RDC au début du XXe s. mais beaucoup de leurs artefacts anciens collectés en RDC ont été produits en RCA. (Georges Meurant) Più delle parole, le immagini sono irriducibili nella loro potenza descrittiva ed evocativa.
Eccoli i volti di due ragazzi Oubanguiens nel loro tradizionale costume che celebra quell’iniziazione che li ha resi giovani adulti della loro comunità.
Sono immagini preziose ed antiche tratte dal volume di A.M. Vergiat, Les rites secrets des primitifs de l’Oubangui, 1936, Ed.Payot, Paris. La maschera che li ha coinvolti nella ritologia Gan’za, quella appunto del’iniziazione, forse denominata Dagara, non è altro che la traduzione morfologica e plastica di quei visi, è sufficiente osservare i tratti dei volti, i segni, l’espressività complessiva. (Herreman and Petridis 1993: 224).
Importante e storica maschera dell’Ubangi, attualmente in coll. privata italiana
Eppoi un volto Mbouaka (Ngbaka), fotografato dal grande Casimir Zagourski nei medesimi anni, con i tradizionali tatuaggi sul volto e sulle guance in particolare. I medesimi, in scala diversa, di quelli dell’antica maschera rituale. (http://www.library.yale.edu/african/zagourski.html) Courtesy “Zagourski, Africa perduta, dalla collezione di Pierre Loos”, Skira ed. Milano, 2001 Gli stessi segni sul volto di questa giovane danzatrice Ngombe di Bomboma, nella fotografia di Auguste M. Bal. (http://www.africamuseum.be/collections/browsecollections/humansciences/display_group?languageid=3&groupid=362&order=20)
Cosa possiamo chiedere ancora all’evocazione? Come ha detto un acuto e sensibile collezionista, Vincenzo Taranto,…questa non è una maschera, è un ritratto, ma non del ragazzo bensì della magia, del non rivelato, delle conoscenze di quello specifico rito…il tutto condensato in quel volto. Una maschera mostruosamente semplice, senza alcun fronzolo, ma carica di un primigenio simbolismo e di una forza volumetrica stupefacente.
Sono immagini perse nel tempo, in quell’estremo nord del Congo, dove i confini si confondono con quelli della Repubblica Centrafricana, dove le genti condividono la medesima lingua, i medesimi riti, la stessa energia che le immagini ci restituiscono adesso…qui, in un’epoca tanto lontana! Elio Revera
La semplicità delle linee di questa maschera non cede mai il destro alla banalità: “semplice” per un vero artista significa “ricerca”
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