LA FORMA SELVAGGIA a cura di Giorgio Rusconi.

Si conclude questo lavoro e per quanti iniziassero la lettura, si consiglia l’inizio dalla Prima Parte.

Continua l’articolo di A. M. Bouttiaux sul Linguaggio delle maschere.

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1. Le iniziazioni.
l riti di passaggio sono momenti di elezione per la comparsa delle maschere. Sia che si tratti delle cerimonie per l’iniziazione all’età adulta o di quelle che alcune società prevedono con precise scadenze nell’intero arco dell’esistenza individuale, spesso in queste situazioni le azioni mascherate assumono un ruolo decisivo. Le maschere e gli spiriti che esse incarnano svolgono una quantità impressionante di funzioni: all’insegnamento impartito agli iniziati alla protezione di questi ultimi. Inoltre, le maschere permettono alle persone relegate nei campi di formazione di comprendere il loro intervento e soprattutto di decifrare il loro segreto: linguaggio in codice, rivelazione dell’identità di chi indossa la maschera e, se occorre, anche apprendistato all’uso della maschera, ai passi di danza e ai comportamenti prescritti. La conoscenza di tutte queste cose distinguerà gli iniziati dai comuni mortali.

Igbo. Maschere “ogwulugwu” o “maun”, 1910.

2. I funerali.
In molte località si convocano le maschere perché aprano la via dell’al di là alle anime dei morti. Nel suo ruolo di psicopompo, la maschera partecipa inoltre alla purificazione del villaggio, dato che è pericoloso lasciar vagabondare gli spiriti dei defunti. Questi ultimi, pieni di rancore, potrebbero vendicarsi sui vivi che non abbiano donato loro un posto nel mondo degli antenati grazie a un funerale organizzato in forma ufficiale e corretta. Le cerimonie funebri trasformano il defunto in un antenato rispettato e capace di intercedere per i suoi discendenti nel regno degli spiriti e dei morti. Si tratta di un momento cruciale e di una vera e propria festa nel ciclo di un essere umano. Le maschere vi prendono parte per celebrare la gioia e l’orgoglio che si provano nell’onorare degnamente un parente defunto. I funerali sono occasioni privilegiate di letizia e di grandi spettacoli: quanto maggiori sono le risorse economiche di cui dispone la famiglia organizzatrice per sostenere la spesa, tanto più prestigioso sarà l’evento e tanto più numerose le maschere (e gli invitati).

Kuba. Maschere, 1919.

3. Le incoronazioni.
Nelle società governate da un re o da un grande capo, le maschere, se esistono, hanno un rapporto privilegiato con il potere. Nelle cerimonie di incoronazione sono regolarmente in scena accanto a questi uomini potenti, che spesso si distaccano dal comuni mortali per la sacralità della funzione da loro svolta, oltre che della loro stessa persona. ln particolare ciò accade presso i Luba e i Kuba (Repubblica Democratica del Congo), e anche presso i Bamileke (Camerun), con le celebri maschere “batcham”.

Yombé. Feticci “nkisi” e “nkonde”, 1900-1910.

4. Le cerimonie stagionali.
La fertilità della terra e la fecondità degli individui sono preoccupazioni permanenti. Le feste perla semina, per il raccolto e per determinati lavori agricoli richiedono l’intervento delle maschere, chiamate a esercitare i loro poteri benefici, propiziatori e fecondanti. Un tempo, in Guinea, queste proprietà erano concentrate nella maschera “d’mba” dei Baga, che interveniva anche durante i funerali. Oggi esiste una versione contemporanea della maschera che interviene in ambito essenzialmente profano, o addirittura turistico.

Pende. Maschere “mbuya”, 1909.

5. Altre circostanze di intervento.
Esistono inoltre numerose altre circostanze a cui le maschere sono chiamate a partecipare: in particolare, le cerimonie che precedono la caccia o la pesca, per renderle fruttuose e scongiurare il pericolo rappresentato dagli spiriti degli animali braccati e uccisi. Un tempo, anche la guerra e i conflitti interetnici richiedevano l’intervento delle maschere, per incitare e proteggere i guerrieri della propria fazione e spaventare e indebolire i guerrieri nemici. In generale, questo tipo di maschera è scomparso o è stato investito di altre funzioni. Osserviamo sempre più spesso la presenza di maschere durante le assemblee di propaganda politica o le feste con cui si intende promuovere il patrimonio e le tradizioni delle rispettive popolazioni, per metterne in valore l’identità. Le prestazioni a carattere ‘folcloristico’, dovute anche alla presenza dei turisti, sembrano a un primo sguardo prive di qualsiasi spessore religioso o sociale. Ma se si osserva con più attenzione, si nota in certi casi che gli attori impegnati in questo genere di eventi sono gli stessi (musici, cantori, accompagnatori, indossatore della maschera) che prendono parte alle cerimonie ‘tradizionali’. Inoltre, queste persone continuano a offrire alle entità tutelari sacrifici destinati a proteggerle dagli assalti degli stregoni e a procurare loro il talento necessario a far valere al meglio le loro capacità tecniche. In effetti, questi spettacoli, per loro essenza costituiti da danze, musiche, mimo e canti, richiedono ai partecipanti grande perizia artistica, spesso esaltata con alte lodi dalla popolazione di cui essi sono originari. Tuttavia, il successo ottenuto con le loro prestazioni li rende vulnerabili, esponendoli al rischio di diventare le prede predilette degli stregoni, che sono sempre in cerca di vittime prestigiose.
Nell’intero continente africano si continuano a produrre maschere, in costante trasformazione. Dove esistono, anch’esse, come tutte le istituzioni, subiscono gli influssi esterni e la pressione della modernità. Le maschere si vanno estendendo alle aree urbanizzate, dove ricostruiscono il loro ambiente rituale; in qualche caso sono invitate a dare spettacolo nei paesi confinanti, e addirittura in Occidente. Seguendo questa evoluzione, anziché scomparire per rispettare una tradizione intollerante di ogni cambiamento, si assoggettano a interessanti processi di modificazione, adattamento e creazione. Le maschere africane si mostrano capaci di trovare un ancoraggio dinamico nella vita contemporanea, il che contribuisce a garantirne la sopravvivenza, anche al di fuori degli scrigni funerari offerti loro dal musei. 

Vili. Feticci, maschere e oggetti di potere, 1887.

Nkporo. Maschera “ofogu”, 1930/1939.

Igbo. Statue, 1930/1939.

Ika. Oggetti di potere “oxo”, “uxurhe” e “ikenga”, 1930/1939.

Isu. Maschere “nwanyioma” e “akatakpuru”, 1931.

Mende. Maschera società “sande”, 1934.

Nkporo. Maschera iniziazione maschile, 1930/1939.

Tchokwe. Maschera, 1900-1910.

Fang. Maschera “sso”, 1913.

Yombé. Feticcio “nkonde”, 1901.

Mende. Maschere “bundu”, 1906-1913.

Songye Kalebwe. Nkisi di comunità, 1932.

Songye. Maschere area di Kongolo, ante 1939.

Teke. Maschere “kidumu” e “sanga”, 1932.


La scultura africana non è mai letta fino in fondo,
la si scopre giorno dopo giorno,
talvolta in maniera automatica,
altre volte con impegno;
a periodi, la si trova più bella,
la si dimentica per una sorta di abitudine visiva,
poi, spostandola, muovendola o mostrandola a qualcuno,
si ricomincia a provare il sottile piacere delle angolazioni,
delle scoperte e delle riscoperte…
senza però mai giungere a svelare completamente
quell’arcano segreto che è dentro di lei,
ingrediente unico della sua magia.

 
Beppe Berna

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